sabato 30 novembre 2013

Bambini


Conoscere i bambini è come conoscere i gatti. Chi non ama i gatti non ama i bambini e non li capisce. C’è sempre qualche vecchia signora che affronta i bambini facendo delle smorfie da far paura e dicendo delle stupidaggini con un linguaggio informale pieno di cicci e di cocco e di piciupaciù. Di solito i bambini guardano con molta severità queste persone che sono invecchiate invano; non capiscono cosa vogliono e tornano ai loro giochi, giochi semplici e molto seri.

Bruno Munari 


venerdì 29 novembre 2013

Vita in N.Y.


Uno degli aspetti straordinari della vita è come essa riesca a prosperare nei posti più impossibili. È in grado di attecchire, chissà come, praticamente dappertutto: che si tratti dei mari inebrianti di Santraginus V, dove i pesci sembrano infischiarsene della direzione da prendere, che si tratti delle tempeste di fuoco di Frastra, dove, dicono, la vita comincia a quarantamila gradi, o che si tratti dei meandri dell’intestino crasso di un topo, dove si insinua così, per il puro e semplice gusto di insinuarsi, la vita trova sempre un qualche appiglio. Essa prospera perfino a New York, anche se è difficile capire perché. D’ inverno la temperatura scende molto sotto il minimo legale, o meglio lo farebbe se si avesse il buon senso di fissare un minimo legale. L’ultima volta che qualcuno stilò un elenco delle prime cento qualità del carattere dei newyorchesi, il buon senso si piazzò al settantanovesimo posto. 
D’estate fa un caldo boia. Va benissimo se si è una forma di vita che prospera col caldo e ritiene, come i frastrani, che una temperatura compresa tra i quarantamila e i quarantaquattromila gradi sia l’ideale; va molto meno bene se si è un animale che è costretto ad avvolgersi nella pelliccia di molti altri animali quando si trova in un certo punto dell’ orbita del suo pianeta e che poi, mezza orbita dopo, scopre di avere la pelle in ebollizione.
La primavera è sopravvalutata. Innumerevoli abitanti di New York non fanno che decantare i piaceri della loro primavera, ma se conoscessero minimamente i piaceri della primavera, saprebbero che ci sono almeno cinquemilanovecentottantatré posti, alla stessa latitudine, in cui passarla meglio che a New York.
L’autunno, però, è il peggiore di tutti. Pochissime cose sono peggio dell’autunno a New York. Alcuni esseri che vivono nell’ intestino crasso dei ratti non sarebbero d’accordo, ma la maggior parte degli esseri che vivono nell’intestino crasso dei ratti sono comunque assai sgradevoli, sicché la loro opinione si può e si deve tenere in scarso conto. Quando è autunno a New York, l’aria ha un puzzo come di capra fritta, e se si vuole respirare, la cosa migliore da fare è aprire una finestra e infilar la testa dentro un palazzo.


D. Adams, Praticamente innocuo   

         

 





Sport d'acqua



Photographer : Adam Pretty 













giovedì 21 novembre 2013

I suoni di una città



Se cerchi il silenzio te ne vai in campagna. Le città parlano. Sussurrano, gridano, fin dalle prime luci dell’alba. Anzi, pare che suonino. Ogni città ha lo stile inconfondibile di un vecchio musicista jazz, di una leggenda venuta da altrove – certamente una città, New Orleans, Parigi, Londra, Bruxelles- e sbarcata dovunque ci fosse la vita. Dove ci sono grandi fabbriche o un porto.
Quando Torino si sveglia, la luce sembra fare a botte con l’oscurità: piazza Castello, piazza Vittorio, avvolte nella bruma rimangono deserte fino a tarda mattinata, e ti sembra che i suoi abitanti abbiano trascorso la notte in ufficio. Ha un suono freddo e incalzante, dove ogni strumento si aggiunge strada facendo, alternandosi alla maniera di viali e controviali, con il senso che è direzione dei flussi. Note lunghe, alla Jan Garbarek, e incedere pieno di ritmo e potenza. O il basso in movimento di Jaco Pastorius in Slang, l’armonia progressiva di chitarre alla Pat Metheny Group, It’s For You. E infatti Torino è per te, anche se non ti saluta per strada.
A Milano invece la vita al mattino brulica, in un caleidoscopio su cui rimbalzano luci dei neon delle metropolitane e dei negozi di corso Buenos Aires. La vita sgorga da terra e la gente è un fiume in piena, allertato dai primi raggi di sole. La sua voce è cool. È il Miles Davis Quintet di Round Midnight, con Miles Davis accompagnato da Wayne Shorter e Herbie Hancock. O il suo duet con John Coltrane in So what.
Roma ha due suoni alle prime luci del giorno. Quello monumentale di Gershwin, la Rapsody in Blue, e l’altro, un tipico bebop. Con i suoi volumi ampi e le architetture improvvise, che alla maniera di vecchi cartelli stradali ti dicono dove e perché sia passata di lì la Storia. Il suo risveglio ha lo stesso respiro di Charlie Parker &Dizzy Gillespie in Hot house.
A Napoli, nuova cosa, i raggi di sole sono colpi di clacson nervosi, con gli attraversamenti di strada improvvisi di gente a piedi poco disciplinata e le vespe e i motorini a sfrecciare tra le auto in coda come in un assalto alla diligenza. La sua alba ha il suono free di Ornette Coleman, l’irruenza di John Coltrane, il disordine metafisico di Sun Ra di Space is the place o la scomposta poesia di Archie Shepp in Things Ain’t What They Used to Be. I suoni di una città possono capirli solo i poeti. Di tutti i quartieri, variazione temporale dell’unico tema dell’inizio, ne riconoscono le tonalità, la frase, non necessariamente urlata per strada e che si indovina dalla lunghezza delle luci che tagliano in due vicoli e strade per poi scavare buchi di vita tra i riflessi dei vetri delle finestre, ficcate a ritmi regolari sulle facciate dei palazzi.


Francesco Forlani, Napoli’s Trivial, in Napoli per le strade






mercoledì 20 novembre 2013

Centro Recupero Fauna Selvatica ed Esotica Monte Adone



Dal 1989 il Centro Tutela e Ricerca Fauna Esotica e Selvatica- Monte Adone recupera, cura e riabilita la fauna selvatica ritrovata ferita sul territorio di Bologna e provincia con lo scopo di reintrodurla in natura; accoglie inoltre la fauna esotica sequestrata per commercio/detenzione illegale e maltrattamento.
Il Centro è attivo 24 ore su 24 e le sue attività sono interamente gestite da volontari.
Per conoscere tutte le attività del Centro, i suoi ospiti e la sua storia visita il sito centrotutelafauna.org/






















Baby Bats












Bats



Molti non sanno che pesano solo pochi grammi, che non sono ciechi, che si orientano anche al buio, che sono degli ottimi bioindicatori di qualità ambientale anche nelle nostre città e che, divorando molti insetti, ne tengono sotto controllo il numero.
Si può stimare la quantità di insetti che un pipistrello è capace di predare in una sola notte con dei semplici calcoli: la sera, prima che esca dal suo rifugio, il pipistrello viene pesato. Pesiamo poi nuovamente lo stesso individuo al suo rientro all’alba, dopo un’intera notte di caccia. Scopriamo così che il suo peso è aumentato di parecchio, dal 25 al 50% in più di quello iniziale. Questi pochi grammi di incremento sembrano ben poca cosa, ma se li dividiamo per il peso degli insetti predati, che varia in funzione della specie di insetto considerata, otteniamo un numero che oscilla tra i 50 e i 10.000 insetti
Un’altra diceria assai diffusa è che i pipistrelli siano ciechi, poiché sono attivi di notte. Non è affatto vero. In alcune specie la dimensione degli occhi rispetto alle dimensioni del corpo è addirittura maggiore che in altri animali. Si tratta di occhi specializzati per la visione notturna e come in molti mammiferi riescono a catturare anche deboli luci. Ovviamente, quando è completamente buio anche gli occhi più efficienti non sono più in grado di vedere, e in questi casi i pipistrelli possono fare affidamento solo sul loro “sonar”







domenica 17 novembre 2013

La luna guarda Stella



Lento, nel chiarore lunare della notte lenta, il vento là fuori muove cose che fanno ombra nel muoversi. Forse non sono soltanto i panni stesi al piano superiore, ma l’ombra in sé non conosce camicie e fluttua impalpabile in un accordo muto con tutte le cose.

Ho lasciato le imposte aperte per svegliarmi presto, ma fino ad ora (e la notte è già così avanzata che non si sente nulla) non ho potuto abbandonarmi al sonno né restare completamente sveglio. Il chiarore lunare sta oltre le ombre della mia camera senza penetrare dalla finestra. Esiste, come una giornata di argento vuoto, e i tetti del palazzo dirimpetto che vedo dal letto sono liquidi di oscurata bianchezza. Come un augurio che venga dall’alto a chi non può sentire, c’è una pace triste nella luce dura della luna.

E senza vedere, senza pensare, gli occhi ormai chiusi nel sonno assente, penso con quali parole vere si può descrivere un chiarore lunare. Gli antichi direbbero che il chiardiluna è bianco, o che è d’argento. Ma il biancore falso del chiardiluna è di molti colori. So che se mi alzassi dal letto e guardassi da dietro i vetri freddi nell’alta aria isolata, il chiardiluna sarebbe di un bianco grigio azzurrino sul giallo sfumato; che sui tetti variati, con dislivelli di oscurità degli uni sugli altri, il chiarore talvolta indora di bianco-nero gli edifici docili, altre volte inonda di un colore privo di colore il rosso marrone delle tegole alte. In fondo alla strada, placido abisso dove le pietre nude si arrotondano irregolarmente, non c’è altro colore che l’azzurro che proviene forse dal grigio delle pietre. Sul lontano orizzonte c’è una sorte di blu scuro, diverso dal blu nero del cielo basso. Sulle finestre il chiarore lunare è di un giallo-nero.

Da qui, dal mio letto, se apro gli occhi assonnati da un sonno che io non ho, c’è un’aria di neve trasformatasi in colore sul quale galleggiano filamenti di madreperla tiepida.

E, nel pensarlo con i sensi, il chiardiluna è un tedio fatto ombra bianca che si oscura come se gli occhi si chiudessero su questo biancore indistinto.


Pessoa, Il libro dell’inquietudine







sabato 16 novembre 2013

Domino







Nella moltitudine



Sono quella che sono.
Un caso inconcepibile
come ogni caso.

In fondo avrei potuto avere
altri antenati,
e così avrei preso il volo
da un altro nido,
così da sotto un altro tronco
sarei strisciata fuori in squame.

Nel guardaroba della natura
c'è un mucchio di costumi:
ragno, gabbiano, topo di campagna.
Ognuno va subito a pennello
e docilmente è indossato
finchè non si consuma.

Anch'io non ho scelto,
ma non mi lamento.
Potevo essere qualcuno
molto meno a parte.
Qualcuno d'un formicaio, banco, sciame ronzante,
una scheggia di paesaggio sbattuta dal vento.

Qualcuno molto meno fortunato,
allevato per farne una pelliccia,
per il pranzo della festa,
qualcosa che nuota sotto un vetrino.

Un albero conficcato nella terra,
a cui si avvicina un incendio.

Un filo d'erba calpestato
dal corso di incomprensibili eventi.

Uno nato sotto una cattiva stella
buona per altri.

E se nella gente destassi spavento,
o solo avversione,
o solo pietà?

Se al mondo fossi venuta
nella tribù sbagliata
e avessi tutte le strade precluse?

La sorte, finora,
mi è stata benigna.

Poteva non essermi dato
il ricordo dei momenti lieti.

Poteva essermi tolta
l'inclinazione a confrontare.

Potevo essere me stessa - ma senza stupore,
e ciò vorrebbe dire
qualcuno di totalmente diverso.


Wislawa Szymborska, Nella moltitudine

 

 

Tempi moderni







venerdì 15 novembre 2013

lunedì 11 novembre 2013

Shoalin Monks


Photographer : Tomasz Gudzowaty


In one series he focuses on Shoalin Buddhist Monks in China, documenting their strict regime of Kung Fu combined with Zen meditation. 


 





Incipit / 3


Poiché il treno locale che collegava i villaggi gelati del Bassopiano meridionale dal Tibisco ai piedi dei Carpazi non era arrivato nonostante le indicazioni confuse del ferroviere che girava disorientato tra i binari e le garanzie sempre più seccate del capostazione che ogni tanto usciva di corsa sulla banchina con promesse molto precise (“ma per favore, questo è sparito di nuovo...” faceva cenno di diniego il ferroviere con una faccia acida e sardonica), e poiché il convoglio sostitutivo, formato da due sgangherate carrozze con sedili in legno rimesse in circolazione solo per “casi eccezionali” e trainate da una vecchia e malandata locomotiva 424, bene o male era partito, anche se con un’ora e mezza abbondante di ritardo rispetto all’orario, comunque approssimativo e non vincolante per un treno speciale, i passeggeri accettarono nell’indifferenza, anzi, con un senso di rassegnato torpore, la notizia che il treno dell’Ovest, inutilmente atteso, era stato soppresso, tanto in qualche modo avrebbero raggiunto la destinazione voluta percorrendo l’ultima cinquantina di chilometri sulla tratta secondaria.
Nessuno si sorprendeva più per fatti del genere, perché le condizioni dominanti si ripercuotevano ovviamente sul traffico ferroviario come su tutto il resto: l’ordine delle abitudini non era più indiscutibile, la confusione si ramificava indomabile a sconvolgere la normale quotidianità, il futuro appariva insidioso, il passato lontano e dimenticato, mentre il normale corso delle giornate era talmente imprevedibile che la gente si era arresa, nessuno si sarebbe più stupito se d’un tratto le porte avessero cessato di aprirsi o se il grano fosse cresciuto a testa in giù nel terreno, perché pur avvertendo i sintomi di un processo di distruzione in atto, le cause sembravano imperscrutabili, e così non c’era altro da fare che avventarsi tenaci sulle prime cose concrete che si potevano afferrare, come fece la gente alla stazione del villaggio quando si lanciò all’assalto contro le porte del treno bloccate dal ghiaccio sperando di trovare posti a sedere, che in teoria avrebbero dovuto esserci, ma il più delle volte non bastavano. 

 László Krasznahorkai, Melancolia della resistenza   




 




sabato 9 novembre 2013

Vai, vai







Monotonia



Questa è una giornata nella quale mi pesa, come un ingresso in carcere, la monotonia di tutto. Ma la monotonia di tutto non è altro che la monotonia di me stesso. Ciascun volto, anche lo stesso che abbiamo visto ieri, oggi è un altro, perché oggi non è ieri. Ogni giorno è il giorno che è, e non ce n’è mai stato un altro uguale al mondo. L’identità è solo nella nostra anima (l’identità sentita con se stessa, anche se falsa), attraverso la quale tutto si assomiglia e si semplifica. Il mondo è cose staccate e spigoli distinti; ma se siamo miopi, esso è una nebbia insufficiente e continua.
Il mio desiderio è fuggire. Fuggire da ciò che conosco, fuggire da ciò che è mio, fuggire da ciò che amo. Desidero partire: non verso le Indie impossibili o verso le grandi isole a Sud di tutto, ma verso un luogo qualsiasi, villaggio o eremo, che possegga la virtù di non essere questo luogo. Non voglio più vedere questi volti, queste abitudini e questi giorni. Voglio riposarmi, da estraneo, dalla mia organica simulazione. Voglio sentire il sonno che arriva come vita e non come riposo. Una capanna in riva al mare, perfino una grotta sul fianco rugoso di una montagna, mi può dare questo. Purtroppo soltanto la mia volontà non me lo può dare.

Io allora vivrò in pace in una casetta alla periferia di qualcosa, godendomi una tranquillità in cui non dovrò fare il lavoro che comunque anche ora non faccio e cercando, per continuare il mio non fare niente, scuse diversa da quelle con le quali oggi evito il confronto con me stesso. Oppure sarò ricoverato in qualche ospizio per poveri, pago della mia completa sconfitta e confuso fra quei relitti umani che pensavano di essere geniali e invece erano solo mendicanti carichi di sogni; io, insieme alla massa anonima di coloro che non ebbero la forza per vincere e neppure la generosa rinuncia per vincere alla rovescia. (…) E la monotonia della vita sarà per me come il ricordo degli amori che non ebbi, o dei trionfi che non sarebbero mai stati.


Pessoa, Il libro dell’inquietudine



mercoledì 6 novembre 2013

Guida Galattica


In quello che assurdamente definiamo passato, la Guida galattica per gli autostoppisti ha avuto molte cose da dire sul tema degli universi paralleli. Tuttavia pochissime di queste cose risultano minimamente comprensibili a chiunque si trovi sotto il livello di Dio Superiore, e siccome, come ormai tutti sanno, gli dèi conosciuti, diversamente da quanto solevano affermare, sono nati non la settimana prima, ma tre milionesimi di secondo dopo che l’universo fu iniziato, essi in questo momento sono già abbastanza indaffarati a dare spiegazioni in tale campo per poter elargire commenti su questioni di fisica profonda. Però dalla Guida apprendiamo un particolare incoraggiante sull’argomento degli universi paralleli, ossia che non abbiamo la più remota possibilità di comprenderli. Siamo quindi liberi, volendo, di dire: – Cosa? –, – Eh? – e perfino far boccacce e barbugliare senza timore di renderci  ridicoli. 
La prima cosa da capire sugli universi paralleli, afferma la Guida, è che essi non sono paralleli. È anche importante capire che, a rigor di termini, non sono nemmeno universi, ma è più   facile cercare di capirlo un po’ più tardi, quando si e già capito che tutto quanto si era capito fino a quel momento non era vero.
Il motivo per cui non sono universi è che un qualsiasi universo non è in realtà una vera e propria cosa, ma solo un modo di osservare quel che tecnicamente è definito GCG, o Gran Casino Generale. In realtà nemmeno il Gran Casino Generale esiste, ma è solo la somma delle diverse ottiche da cui lo si potrebbe guardare se esistesse. 
Il motivo per cui gli universi non sono paralleli è lo stesso per cui non è parallelo il mare. È un aggettivo in questo caso privo di significato. Si può dividere il Gran Casino Generale in qualunque modo si voglia, e si otterrà sempre qualcosa che qualcuno chiamerà casa.
Ora sentitevi pure liberi di barbugliare.

A causa del suo particolare orientamento nel Gran Casino Generale, la Terra che stiamo qui prendendo in considerazione fu colpita da un neutrino da cui altre Terre non furono colpite.  Essere colpiti da un neutrino non è certo un trauma. Anzi, è difficile che si possa ragionevolmente sperare di essere colpiti da qualcosa di più piccolo. E non è che per un oggetto delle dimensioni della Terra venir colpito da un neutrino rappresentasse un evento in se stesso assai insolito. Tutt’altro. Sarebbe stato un nanosecondo insolito quello in cui la Terra non fosse stata colpita da molti miliardi di neutrini vaganti. Tutto dipende, naturalmente, da cosa si intenda per “colpito”, visto che la materia è composta per lo più da un bel niente. Le probabilità che un neutrino vagante in questo spaventoso vuoto ha di colpire realmente qualcosa sono circa le stesse che un cuscinetto a sfere, gettato giù casualmente da un 747 in volo, ha di colpire, mettiamo, un panino all’uovo sodo.
In ogni modo, il neutrino in questione colpì qualcosa. Lo si potrebbe definire un evento insignificante nella scala delle cose. Ma il guaio è che, facendo un’affermazione del genere, si direbbe una gigantesca cazzata. Quando, di fatto, succede qualcosa in un punto di una realtà così follemente complessa come l’Universo, lo sa Kevin come si evolverà tutta la faccenda, la dove “Kevin” è qualunque entità casuale che non sappia niente di niente.
Questo neutrino colpì un atomo. L’atomo faceva parte di una molecola. La molecola faceva parte di un acido nucleico. L’acido nucleico faceva parte di un gene. Il gene faceva parte di una ricetta genetica di crescita… e così via. La conclusione fu che a una pianta spuntò una foglia in più. Nell’Essex. O in quello che, dopo un sacco di discussioni e beghe locali di natura geologica, sarebbe diventato l’Essex. La pianta era un trifoglio. Si propagandò, o meglio si propagò, con estrema efficacia e presto diventò il tipo di trifoglio più diffuso nel mondo. Il preciso nesso causale tra questo minimo evento biologico accidentale e altri piccoli eventi che si verificarono in quel settore di Gran Casino Generale, come per esempio il fatto che Tricia McMillan non riuscisse a partire con Zaphod Beeblerox, il fatto che il pianeta su cui tutto ciò accadde non fosse demolito dai vogon per consentire la costruzione di una nuova autostrada iperspaziale, si trova attualmente al numero 4.763.984.132 dell’elenco di ricerche prioritarie stilato a suo tempo dall’ormai chiusa facoltà di Storia dell’Università di MaxiMegalon, e oggi nessuno, alla riunione di preghiera presso la piscina, sembra provare l’urgente desiderio di affrontare il problema.


Douglas Adams,  Praticamente innocuo 




lunedì 4 novembre 2013

domenica 3 novembre 2013

Florence



And I’ve been taking chances, I’ve been setting myself up for the fall,
I’ve been keeping secrets, from my heart and from my soul






Atarassia



Vivere una vita priva di passioni ma colta, nella serenità delle idee, leggendo, sognando, e pensando di scrivere; una vita sufficientemente lenta per rimanere sempre ai margini del tedio, sufficientemente meditata per non imbattersi mai in esso. Vivere questa vita lontano dalle emozioni e dai pensieri;  viverla solo nel pensiero delle emozioni e nell’emozione dei pensieri. Crogiolarsi al sole, beatamente, come un lago oscuro circondato di fiori.

Pessoa, Il libro dell’inquietudine


venerdì 1 novembre 2013

Objects



Javier Pérez, aka Cintascotch