mercoledì 31 dicembre 2014

Fine anno



"Ogni giorno, milioni di notizie, di informazioni, di nozioni, e noi non riusciamo più a distinguere le cose importanti. Siamo confusi, abbiamo rimpiazzato “è vero, l’ha detto il telegiornale” con “è vero, l’ho letto su Facebook”, siamo analfabeti duepuntozero, analfabeti di rigetto. Imprenditori scriteriati hanno plagiato un governo che nessuno ha votato, un governo che ha manipolato l’informazione e ci ha convinti di essere una buona parte, se non la maggior parte, di una crisi economica; ci hanno accusato di avere troppi diritti, ci hanno mostrato che il marcio di questa società sono i sindacati e che per superare questa crisi occorra lavorare di più, produrre di più e tutto a salari più bassi e con meno tutele, perché è logico, chi è tutelato commette un crimine, si approfitta di un sistema e fa sperare a chi è stato assunto con contratti capestro di poter ottenere un giorno gli stessi diritti, quindi via i diritti di tutti, meno che nel pubblico impiego. Così noi poveri sciocchi avremo qualcuno da additare, i dipendenti pubblici, e saremo noi, con la nostra indignazione manipolata che chiederemo a un presidente del consiglio di fare giustizia. Mentre la soluzione sta nel senso opposto. Perché lavorare per produrre magazzini e riserve di oggetti che non potremo comprare o che non avremo tempo di usare, dato che dobbiamo lavorare di più guadagnando di meno? È il comma 22 dell’economia, l’implosione del liberismo come libertà economica.
La soluzione sta dalla parte opposta. Avere parità di salari e più tempo libero, per coltivare un orto, per passeggiare, per leggere, per dipingere, per veder crescere i figli, per amare e per sorridere, per andare al cinema o a teatro chissà dopo si vedrà, per andare in vacanza, per far correre il cane, per mettersi le dita nel naso…
Ma non possiamo. Siamo sempre troppo impegnati, sempre stressati e per allieviare il disagio fotografiamo e condividiamo cibo, gatti, cani, amplessi, tramonti, cessi e bocche a culo di gallina, crediamo di conoscere le persone per i due aforismi che scrivono sui social, ci innamoriamo di avatar, arriviamo a esserne gelosi addirittura. Siamo ancora quelli che ammirando la perfezione di un fiore vero dicono “che bello, sembra finto” e vedendone uno finto affermano “che bello, sembra vero”.
Questo siamo, però ne andiamo fieri, tanto è colpa degli statali
Buon 2015, coglioni."





lunedì 22 dicembre 2014

Bestie?








Paesi incivili / 4


 

Governo e Parlamento vogliono rendere non più punibili i reati contro gli animali. Dieci anni di norme penali contro maltrattamenti e uccisioni di animali finiranno nel cestino se sarà approvato lo “Schema di Decreto legislativo recante Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto” per tutti i reati con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni di reclusione. Non potranno più esserci processi come quello in corso contro l’allevamento Green Hill di beagle per la vivisezione, le condanne ottenute contro allevatori per lo scandalo “vacche a terra”, cacciatori per uso illegale di richiami vivi, circensi, organizzatori di combattimenti fra cani  e trafficanti di cuccioli.
Sono messi in pericolo i sequestri di animali poiché con l’archiviazione gli stessi animali dovranno essere restituiti ai loro stessi maltrattatori. La riforma del Codice penale sugli animali,
ottenuta nel 2004 con la Legge 189 – con sanzioni irrigidite nel 2010 con la Legge 201 - pur se parziale ha rappresentato una pietra miliare nel riconoscimento della tutela degli animali nel nostro ordinamento giuridico. Se sarà approvato in via definitiva lo “Schema di Decreto legislativo recante Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto”, l’Italia si arrenderà al maltrattamento degli animali, nonostante quanto affermato dal Trattato Europeo di Lisbona che li riconosce esseri senzienti e impegna gli Stati all’applicazione di questo principio. Giusto, doveroso, rendere più rapidi i procedimenti giudiziari ma non lasciando impuniti penalmente gli autori di reati gravi e che sono effettuati danneggiando tutta la società! Chi può fermare questo atto sconsiderato che se accompagnato dall’annunciato scioglimento del Corpo Forestale dello Stato va a realizzare un quadro dell’orrore per legalità e giustizia? Governo in primis e Parlamento. A loro chiediamo di non approvare lo “Schema di Decreto legislativo recante Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto” inviato dal Governo lo scorso 1 dicembre alle Camere - al momento non ancora pubblicato ufficialmente in Parlamento -  e sul quale le Commissioni parlamentari potranno dare solamente un parere. O, comunque, chiediamo di escludere esplicitamente dalla sua applicazione i reati contro gli animali.









sabato 20 dicembre 2014

Telethon



A esprimere con pacata chiarezza il proprio, personale dissenso verso Telethon e i test sugli animali, è il giornalista piemontese Elso Merlo, direttore responsabile di Rete Canavese Tv, attraverso un video che da alcuni giorni suscita grande dibattito. Vale senz’altro la pena di ascoltare gli argomenti di Merlo, che muove le proprie obiezioni a un sistema obsoleto ancorché crudele, dominato dalle multinazionali del farmaco. Interessate, queste ultime, a che le persone – i consumatori - vivano a lungo ma in assenza di salute, mentre nessuna delle malattie su cui fa leva la famosa maratona rivolta ai donatori è stata debellata, osserva il giornalista, a dispetto delle migliaia di miliardi raccolti da Telethon fra il 1989 a oggi: “A cosa serve continuare a sperimentare sugli animali? A cosa serve questa vecchia ricerca di inizio 900 in mano alle baronie, alle lobby del potere farmaceutico e non solo, se non ad alimentare loro stesse?” si chiede, citando fra l'altro diverse associazioni eccellenti nell’assistenza ai malati più gravi, le quali si dissociano dalla sperimentazione animale.
“Non sono un talebano delle grandi battaglie, né un antispecista e nemmeno animalista. Farei torto agli animalisti veri. Sono solo uno che si preoccupa del futuro, anche il mio. Vorrei che la gente incominciasse a guarire da malattie considerate incurabili. Ho rispetto dei volontari, di chi non la pensa come me” conclude “ma fa male al cuore veder strumentalizzati i bambini, i malati, per cercare di portare soldi a chi ne fa il proprio business, e non la nostra salute”.
Intanto è stata tumultuosa la protesta contro Telethon che si è svolta venerdì sera fuori dagli studi Rai di Roma, dove si svolgeva la diretta di una raccolta fondi.  Organizzata da Pae-Partito animalista europeo, Animalisti Italiani Onlus, Memento Naturae, Irriducibili Toscani, Istinto Animale, la manifestazione, che a quanto pare ha visto intervenire con energia un gran numero di poliziotti, si è conclusa con due attivisti portati via in ambulanza, altri al pronto soccorso, due arresti e un fermo. Al centro delle rimostranze animaliste, appunto, la vecchia ricerca promossa da Telethon basata sulla sperimentazione animale: secondo molti scienziati di nuova generazione (e non solo), un sacrificio industriale e non predittivo, date le profonde diversità che dividono le specie, quando non gli stessi individui. Tumori, malattie genetiche rare, virus, sono in costante aumento, a dispetto di metodi crudelissimi con cui ogni anno si torturano e uccidono milioni e milioni di esemplari. Gli animalisti, inoltre, puntano l’indice contro trasparenza e efficacia del sistema stesso, che assorbirebbe enormi risorse nella realizzazione della maratona Telethon, nonché in una dispersiva serie di progetti e pubblicazioni, finendo col destinare davvero alla ricerca solo una parte dei colossali introiti.






giovedì 18 dicembre 2014

domenica 7 dicembre 2014

Non esistono libri innocui



(...)  Il libro è una lettera che non ha busta, né indirizzo. Riguarda la vita di tutti noi, di ciascuno di noi. E' nostra, ma anche di persone che non sono più, o non sono ancora. Nulla più di un libro ci fa consapevoli di appartenere ad una comune umanità, illuminata e tormentata dalle medesime speranze e angosce. Il libro non sa dove va, chi incontrerà, come sarà accolto; esso viaggia in mezzo a noi, come un meraviglioso enigma. Non tutti i libri hanno la stessa vitalità. Molti, la grande maggioranza, si estinguono; ma quei pochi che sopravvivono sembrano eterni. Essi sono totalmente umani, e che siano vecchi di una sola, o di trenta generazioni, pare non avere alcuna importanza. Leggiamo Omero, leggiamo Leopardi. Tra mille anni, se vi saranno uomini, leggeranno Omero e Leopardi.
Dunque ci sono “grandi” libri, e ci sono “piccoli” libri. Ma non è facile definirli, né i grandi né i piccoli. Vi è qualcosa di misterioso attorno a un libro “grande”, e di solito il mistero avvolge anche il suo autore. Chissà se è esistito Omero. Di Shakespeare conosciamo data di nascita e morte e il nome della moglie. Di un “grande” libro possiamo dire che esso viene letto da una generazione dopo l’altra; I fratelli Karamazov di Dostoevskij ha compiuto cent’anni, e grandi libri sono stati scritti e si scriveranno sull’autore e su quel grande libro. Un grande libro racconta contemporaneamente molte storie e ogni lettore vi trova qualche cosa di diverso. Dunque un grande libro è inesauribile, come inesauribili sono gli esseri umani, misteriosi a se stessi. Vi sono libri che restano piccoli per molto tempo, poi, improvvisamente, diventano grandi. Pinocchio fu un libro per bambini, e solo da pochi anni ci si è accorti che è grande. I romanzi storici del nostro Ottocento ebbero migliaia di lettori, fecero piangere e disperare, e ora non si leggono più neppure a scuola, e di regola li leggono solo professori pagati per farlo. Non avere accesso al libro è dunque non avere accesso a noi stessi, alle zone più oscure, magiche, enigmatiche, a ciò che in noi sogna, ama, teme, crede e dispera. Oggetto umile e potente, il libro entra nella nostra vita con una forza terribile: e non è un caso che quelle parole siano state così spesso, siano tuttora perseguitate, trattate con diffidenza, con astio, con ira, giacché esse parlano a tutto ciò che è umano, o debbono tacere. Ma la totalità dell’uomo, sempre proposta e sempre elusa, è una oscura minaccia per chiunque abbia una verità in testa, e la forza di imporla.
Ci fu un tempo in cui la parola scritta era intimidatoria; pochi leggevano, e leggevano poche cose, e ne scrivevano anche di meno. Poi la parola scritta venne consegnata a tutti: divenne un privilegio, e insieme un mezzo per dominare. Parole liberatrici si mescolavano a parole che volevano persuadere all’ubbidienza. Allora qualcuno si rammentò che il bandito analfabeta imprendibile in mezzo alle montagne, era libero, assai più libero dell’uomo d’ordine che quotidianamente imparava una piccola e disonesta verità da un giornale qualsiasi. Ma il tempo passa, e le cose cambiano. Oggi, nuovamente, l’uomo orecchio, l’uomo palpebra, l’uomo che si consegna al quotidiano ipnotismo (manifesti, televisione, discorsi di potenti, immagini, tutto ciò che, apertamente o occultamente, è “propaganda”) è l’analfabeta che sa leggere, colui che ignora i libri, e soprattutto quello che i libri possono toccare dentro di lui.
In un mondo di pubblicità e di imbonimento, di menzogne non di rado confortate da cultura e da ingegnosa malafede, la possibilità di non essere catturati irreparabilmente, di non essere strumenti di incomprensibili o fittizie battaglie, sta nella nostra esperienza di noi stessi, della vastità e della drammaticità della sorte dell’uomo. Da questo punto di vista, non vi sono libri innocui, e non v’è cultura “che non fa male a nessuno” e rende migliori. Un grande libro è terribile, perché la sua storia dentro di noi non si spegnerà mai; e sarà la storia della nostra libertà. Una biblioteca è molte, strane, inquietanti cose: è un circo, una balera, una cerimonia, un incantesimo, una magheria, un viaggio per la terra, un viaggio al centro della terra, un viaggio per i cieli; è silenzio ed è una moltitudine di voci; è sussurro ed è urlo; è favola, è chiacchiera, è discorso delle cose ultime, è memoria, è riso, è profezia; soprattutto è un infinito labirinto, e un enigma che non vogliamo sciogliere, perché la sua misteriosa grandezza dà un oscuro senso alla nostra vita, quel senso che la pubblicità va cercando di cancellare.

Giorgio Manganelli





Ice age coming



We’re not scaremongering
This is really happening...





sabato 6 dicembre 2014

Maga



(…) la Maga amava tutti gli inverosimili guai in cui si trovava fino al collo per via del fallimento d’ogni legge nella sua vita. Era di quelle che fanno crollare i ponti quando li attraversano, o che si ricordano fra strilli e pianti di aver visto in una vetrina il biglietto della lotteria vincitore dei cinque milioni. Da parte mia, mi ero ormai abituato al fatto che mi capitassero cose modestamente eccezionali, e non trovavo troppo orribile che entrando in una stanza al buio per prendere un 33 giri, sentissi brulicare nel palmo della mano il corpo vivo d’un centopiedi gigante che aveva scelto di dormire sulla copertina del disco. Questo, e trovare dei pelacci grigi o verdi in un pacchetto di sigarette, o sentire il fischio di una locomotrice esattamente nel momento e con il tono necessario per incorporarsi ex officio in un passaggio di una sinfonia di Ludwig van, o entrare in una pissotière di rue de Medicis e vedere un uomo intento ad orinare diligentemente fino al momento in cui, allontanandosi dal suo settore, si girava verso di me e mi mostrava, sostenendolo con il palmo della mano, come un oggetto liturgico e prezioso, un membro di dimensioni e colori incredibili, e nello stesso attimo accorgermi che quell’uomo era esattamente uguale a un altro (anche se non era quell’altro) che ventiquattro ore prima, nella Salle de Geographie, aveva dissertato su totem e tabu, ed aveva mostrato al pubblico, sostenendoli bellamente sul palmo della mano, bacchette d’avorio, piume di uccelli del paradiso, monete rituali, fossili magici, stelle di mare, pesci disseccati, fotografie di concubine reali, offerte di cacciatori, enormi scarabei imbalsamati che facevano fremere di spaventata delizia le immancabili signore. Insomma, non è facile parlare della Maga che a quest’ora sta certamente girando per Belleville o per Pantin, intenta a guardare per terra fin quando non abbia trovato qualcosa di rosso. Se non lo trova continuerà cosi per tutta la notte, frugherà nei secchi della spazzatura, gli occhi vitrei, convinta che qualcosa d’orrendo le capiterà se non troverà quel pegno del riscatto, indice di perdono o di rinvio. So cosa significa perche anch’io obbedisco a questi segni, ci sono volte in cui anch’io devo trovare uno straccetto rosso. Fin da bambino, appena mi cade per terra qualcosa devo tirarlo su, qualunque cosa sia, perche se non lo faccio capiterà una disgrazia, non a me ma a qualcuno cui voglio bene, e il cui nome comincia con l’iniziale dell’oggetto caduto. Il guaio è che niente puo trattenermi quando qualcosa mi cade per terra, e non vale che sia un altro a raccoglierlo perchè il maleficio agirebbe ugualmente. Per questa ragione sono passato molte volte per pazzo e la verità e che sono preso da follia quando agisco così, quando mi precipito a raccattare una matita o un pezzetto di carta che mi sia scivolato di mano, come la sera della zolletta di zucchero nel ristorante di rue Scribe, un ristorante elegante frequentato da dirigenti, da puttane con la volpe argentata e da coppie bene assortite. Eravamo con Ronald ed Etienne, e a me cadde una zolletta di zucchero che andò a finire sotto un tavolo abbastanza lontano dal nostro. La prima cosa che attirò la mia attenzione fu il modo con cui la zolletta si era allontanata, perchè in generale le zollette di zucchero s’immobilizzano appena toccano terra per ragioni parallelepipede evidenti. Ma quella si comportava come se fosse stata una pallina di naftalina, cosa che aumento la mia apprensione, e giunsi a credere che veramente me l’avessero strappata di mano. Ronald, che mi conosce, guardò verso il punto dove era andata a fermarsi la zolletta, e comincio a ridere. Questo mi fece ancor piu paura, insieme a rabbia. Un cameriere si avvicinò pensando che mi fosse caduto qualcosa di prezioso, una Parker o una dentiera, ottenendo solo d’infastidirmi, per cui, senza chiedere scusa, mi gettai a terra e cominciai a cercare la zolletta di zucchero fra le scarpe della gente che se ne stava con grande curiosità (e a ragione) credendo che si trattasse di qualcosa di importante. Al tavolo era seduta una cicciona con i capelli rossi, un’altra meno grassa ma altrettanto puttana, e due dirigenti o qualcosa di simile. Innanzi tutto mi resi conto che la zolletta era invisibile, e dire che l’avevo vista saltare fino a quelle scarpe (che si muovevano inquiete come galline). Per colmo di disgrazia c’era il tappeto, e sebbene facesse schifo tanto era usato, la zolletta era dovuta andare a nascondersi fra i peli, ma non riuscivo a trovarla. Il cameriere si distese dall’altra parte del tavolo, ed ormai eravamo due quadrupedi che si muovevano fra le scarpe-gallina che lassù cominciavano a starnazzare come pazze. Il cameriere continuava ad essere convinto della Parker o del Luigi d’oro, e quando eravamo ormai infilati sotto il tavolo, in una specie di grande intimità e penombra, e lui mi domandò e io risposi, fece una faccia che era da spruzzare con un fissatore, ma io non avevo nessuna voglia di ridere, la paura mi aveva chiuso a doppio giro la bocca dello stomaco e infine fui preso da una vera disperazione (il cameriere si era alzato furibondo) e cominciai ad afferrare le scarpe delle donne e a guardare se sotto l’arco della suola non si fosse acquattata la zolletta, e le galline starnazzavano, i galli dirigenti mi beccavano la schiena, sentivo le risate di Ronald e di Etienne mentre mi spostavo da un tavolo all’altro fin quando non ebbi trovato lo zucchero nascosto dietro una gamba Secondo Impero. E tutti quanti furibondi, persino io con lo zucchero stretto nel palmo della mano, sentendo in qual modo si mescolava al sudore della pelle, in qual modo, schifosamente, si scioglieva in una sorta di vendetta appiccicosa, questo genere di episodi tutti i giorni.

Cortazar, Il gioco del mondo



lunedì 1 dicembre 2014

Un'altra vita / 1971




“A fine 2011 (…) feci un'intervista per un quotidiano nazionale che titolava più o meno "Le cinque vite di Claudio Rocchi" (…) Raccontavo di una vita da studente, una seconda da aspirante rock star, una terza da aspirante santo indù, una quarta da aspirante "normale" professionista tra broadcast, media e business immobiliare. La quinta era quella in cui rientravo allora, per una serie di benedette concorrenze tra Amore e Ispirazione, di musicista ritrovato con voglia di concerti ed energia per farli. Poi arrivò la sesta. Una grave malattia degenerativa alle ossa mi faceva di fatto malato terminale pur continuando io di fatto, tra stampelle e bastoni, a fare finta di niente e guidare in su per mari e autostrade a fare i miei concerti.
Eccoci infine alla settima vita. La vivo da 20gg o poco più e tutto è successo in meno di 12 ore. Un crollo vertebrale ha determinato un'invasione del midollo spinale e di fatto ho perso l'uso delle gambe. Ho sentito risalire forte da dentro una risata incontenibile accompagnata dalla domanda: Ma cazzo, non era sufficiente così? Pure paraplegico ora?
Adesso, dopo vari accertamenti a tutto campo, il quadro clinico è fissato. Patologia non reversibile che innesta la perdita d'uso degli arti inferiori sulla patologia ossea degenerativa. Sono ultra fragile, e devo stare praticamente a letto evitando movimenti di ogni genere che potrebbero, nel caso di un'invasione midollare più alta del D11 odierno, pregiudicare anche l'uso degli arti superiori. Non male, vero, per mettere alla prova il buonumore? (…)
Eccomi quindi a scrivere e vivere questa settima vita. Sarà probabilmente più difficile lavorare e fare fronte a complessità che non potevo certo prevedere. Anche spese per attrezzare questa settima vita con gli strumenti tecnici che le saranno necessari.
Certi strumenti miei (musicali e non) non saranno invece più necessari per me e a breve vi dirò di cosa mi voglio liberare. Chissà? Forse a qualcuno di voi potrà interessare qualcuna delle mie splendide chitarre, forse a qualcuno piacerà guidare la mia auto, od avere qualche traccia dalle mie vite precedenti. I grandi libri rilegati dove scrivevo i testi delle mie canzoni e disegnavo nei '70, i dorje tibetani per le puje di liberazione, qualche stravagante memorabilia da puro collezionismo, gli acetati dei miei provini inediti, i nastri magnetici originali, qualche raro libro super esoterico che mi accompagna da sempre, i miei quadri mai esposti.
Io voglio alleggerire il carico, liberarmi di oggetti e tracciati ora davvero superflui e non utili. La settima vita me lo chiede e ho pensato di dirvelo.
A presto carissimi. Hugs to you all.”
Claudio Rocchi (Milano, 8 gennaio 1951 – Roma, 18 giugno 2013)




domenica 30 novembre 2014

Mizzi / 2








Dischi (molto) importanti / 1974


"His private persona erupted on Rock Bottom (1974), one of rock music's supreme masterpieces, a veritable transfiguration of both rock and jazz. Its pieces straddle the unlikely border between an intense religious hymn and a childish nursery rhyme. Along that imaginary line, Wyatt carved a deep trench of emotional outpouring, where happiness, sorrow, faith and resignation found a metaphysical unity. The astounding originality of that masterpiece, and its well-crafted flow of consciousness, were never matched by Wyatt's later releases."

Piero Scaruffi on Rock Bottom





sabato 29 novembre 2014

Inannoiabilità



Ho imparato che il mondo degli uomini così com’è oggi è una burocrazia. È una verità ovvia, certo, per quanto ignorarla provochi grandi sofferenze. Ma ho anche scoperto, nell’unico modo in cui un uomo impara sul serio le cose importanti, la vera dote richiesta per fare strada in una burocrazia. Per fare strada sul serio, dico: fai bene, distinguiti, servi. Ho scoperto la chiave. La chiave non è l’efficienza, o la rettitudine, o l’intuizione, o la saggezza. Non è l’astuzia politica, la capacità di relazione, la pura intelligenza, la lealtà, la lungimiranza o una qualsiasi delle qualità che il mondo burocratico chiama virtù e mette alla prova. La chiave è una certa capacità alla base di tutte queste qualità, più o meno come la capacità di respirare e pompare il sangue sta alla base di tutti i pensieri e le azioni. La chiave burocratica alla base di tutto è la capacità di avere a che fare con la noia. Di operare efficacemente in un ambiente che preclude tutto quanto è vitale e umano. Di respirare, per così dire, senz’aria. La chiave è la capacità, innata o acquisita, di trovare l’altra faccia della ripetizione meccanica, dell’inezia, dell’insignificante, del ripetitivo, dell’inutilmente complesso. Essere, in una parola, inannoiabile. Ho conosciuto, tra il 1984 e l’85, due uomini così. È la chiave della vita moderna. Se sei immune alla noia, non c’è letteralmente nulla che tu non possa fare. 

 D.F. Wallace, Il re pallido 








venerdì 28 novembre 2014

giovedì 27 novembre 2014

Nothing to fear and nothing to doubt











Pianeti



Per esempio, Marte si rivela al telescopio un pianeta più perplesso di quanto non sembri ad occhio nudo: pare abbia tante cose da comunicare di cui si riesce a mettere a fuoco solo una piccola parte, come in un discorso farfugliato e tossicchiante. Un alone scarlatto sporge intorno all’orlo; si può cercare di rincalzarlo regolando la vite, per far risaltare la crostina di ghiaccio del polo inferiore; macchie affiorano sulla superficie come nuvole o squarci fra le nuvole 
(…) 
Tutto il contrario è il rapporto che egli stabilisce con Saturno, il pianeta che più dà emozione a chi lo guarda attraverso un telescopio: eccolo nitidissimo, bianchissimo, esatti i contorni della sfera e dell’anello; una leggera rigatura di paralleli zebra la sfera; una circonferenza più scura separa il bordo dell’anello; questo telescopio non capta quasi altri dettagli e accentua l’astrazione geometrica dell’oggetto; il senso di una lontananza estrema anziché attenuarsi risalta più che a occhio nudo. Che in cielo stia ruotando un oggetto così diverso da tutti gli altri, una forma che raggiunge il massimo di stranezza col massimo di semplicità e di regolarità e d’armonia, è un fatto che rallegra la vista e il pensiero. Se avessero potuto vederlo come ora lo vedo io, - pensa il signor Palomar, - gli antichi avrebbero creduto d’aver spinto il loro sguardo nel cielo delle idee di Platone, o nello spazio immateriale dei postulati di Euclide; invece quest’immagine, per chissà quale disguido, arriva a me che temo che sia troppo bella per essere vera, troppo accetta al mio universo immaginario per appartenere al mondo reale. Ma forse è proprio questa diffidenza verso i nostri sensi che ci impedisce di sentirci a nostro agio nell’universo.

Italo Calvino, Palomar


domenica 23 novembre 2014

Botticelle



Da quasi dieci anni ormai l’opinione pubblica invoca decisa, e inascoltata dal Campidoglio, la dismissione delle botticelle, le carrozze a traino equestre che nella Roma metropolitana vedono i cavalli faticare, soffrire, accasciarsi al suolo e talvolta morire. Migliaia di firme, lettere, manifestazioni, grande attenzione mediatica non sono riusciti a scalfire l’atteggiamento istituzionale, fra l’ex sindaco Alemanno strenuo difensore dei capricci di quaranta – oggi trentotto – vetturini del tutto indisponibili a trasformarsi in taxi o vetture turistiche cruelty free, e il successore Marino avviato sulla stessa linea.
Ma quanto associazioni e cittadini non hanno ancora, forse, realizzato appieno, è che la tutela dei postiglioni – non di rado protagonisti di insulti, minacce e percosse a contestatori o semplici passanti – verrà resa sempiterna a loro spese.
A dispetto della crisi, per garantire indiscutibile continuità a un’usanza che il caos della Città moderna rende anacronistica e crudele, sono stati stanziati dalla giunta Alemanno, e confermati da quella attuale, fondi pubblici con cui realizzare una mega scuderia a uso esclusivo: 141 box e pertinenze su un’immensa piattaforma di cemento, fra alloggi per gli animali, depositi per le carrozze, ufficio e letamaia. Il notevole insediamento è stato progettato, con lo sbalorditivo placet delle soprintendenze (chi controlla il controllore?) e in violazione di diverse leggi internazionali, nel cuore di Villa Borghese, sbancando una collina del Pincio della dimensione di oltre due ettari e, senza dubbio, protetta in quanto inclusa in una villa storica inedificabile, nonché Sic-sito di interesse comunitario, per tacere dei vincoli previsti dall’Unesco e dalla Carta di Firenze che equipara i giardini storici a monumenti.
Lo sbancamento del terreno, con distruzione di alberi e cespugli, prendeva il via sul finire del mandato di Alemanno, quindi il cantiere si fermò per due anni. Da qualche mese tuttavia i lavori sono ripresi, con la promessa di consegnare l’opera a gennaio. Per coincidenza, poco prima che il Corpo Forestale dello Stato effettuasse un blitz all’interno dell’ex Mattatoio di Testaccio, divulgando quanto è noto da sempre, in primo luogo alle silenziose Asl, ovvero che i cavalli vi sono detenuti in condizioni abusive, antigieniche e inadeguate.
La scorrettezza della manovra, al pari di una trappola, si fa largo fra annunci insensati. Secondo alcuni esponenti dell’Amministrazione (l’impegno era stato preso dallo stesso Marino in campagna elettorale) i cavalli verranno poi destinati a lavorare nei parchi dell’Urbe. Quali, e come faranno a raggiungerli senza attraversare stracarichi la Città convulsa, inquinata e trafficata, non è però specificato. Si ritiene giusto deciderlo poi, a scempio storico-ambientale ultimato e irreversibile, intanto che alle associazioni animaliste (in prima linea Enpa, Lav, Animalisti Italiani onlus, Oipa e tante altre) viene difficile appuntare le proteste sulla scuderia in sé. Questa renderebbe il ricovero notturno degli animali più salubre, ma allo stesso tempo cela l’obiettivo di cancellare l’ipotesi della dismissione del servizio. Dal canto loro, anziché impugnare gli atti e studiare la questione sotto il profilo legale, le associazioni ambientaliste si sono finora limitate a qualche sussulto di indignazione.
Dai 500mila euro a carico della collettività annunciati nel 2011 dall’allora assessore ai Lavori Pubblici, Fabrizio Ghera, si è passati a “un costo complessivo dell’intervento pari a 1,3 milioni di euro, come previsto dal progetto approvato dalla precedente Amministrazione, che non è stato necessario rifinanziare” 
(...)
Nel frattempo, mentre si teme che l’Assessorato all’Ambiente guidato da Estella Marino si stia adoprando per modificare il Regolamento a tutela degli animali in favore dei vetturini,  vedi la concessione del trotto oggi vietato e l’abolizione della sosta nelle ore estive più roventi, i romani in bolletta sono costretti a finanziare la costosa devastazione di un tratto del loro parco storico più famoso e centrale, non certo per veder soddisfatta la richiesta di sottrarre i cavalli a un impegno spietato, ma, può darsi, come materia di scambio per favorire altre iniziative.
Chissà allora che la prossima mossa del rantolante Campidoglio non sia la costruzione, con denaro dei cittadini, di box auto per i tassisti?

margdam@margheritadamico.it
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sabato 22 novembre 2014

Tails






Inevitabile



Sulle ultime catastrofi climatiche del nostro paese abbiamo intervistato un esperto poco conosciuto, ma che riveste un ruolo importantissimo. É il dottor Inevitabile, responsabile governativo dell’UTMA, Ufficio Tutela Mutamento Ambientale.
- Dottor Inevitabile, anzitutto definiamo il ruolo del suo ufficio. Che è evidentemente quello di tutelare il suolo italiano e i cittadini contro i disastri climatici -.
- No, la correggo. Il nostro ufficio ha il compito di tutelare e mantenere la situazione di dissesto ambientale, impedendo soluzioni che creerebbero costose e utopiche aspettative -.
- Scusi ma perché? 
- Per molti motivi. In primo luogo perché il mutamento ambientale presuppone un adattamento, e finché il popolo italiano non si abitua ai crolli, alle esondazioni e alle frane sarà sempre spaventato e insicuro. E dato che il disastro climatico è irreversibile, diventa necessaria una nuova cultura, che è appunto quella dell’Inevitabilità -.
-Faccia degli esempi…
- Il nostro ufficio studia nuove forme di comunicazione per aiutare gli italiani a accettare questo mutamento climatico con pazienza. Ad esempio abbiamo coniato il termine “bomba d’acqua”. È ovvio che contro i vecchi acquazzoni di una volta si poteva fare qualcosa, ma contro una bomba d’acqua non c’è nulla da fare. La colpa è di nuvole bellicose e militarizzate. Una volta si diceva: arriva il maltempo. Ora si dice: arriva il ciclone Caronte, l’anticiclone Polifemo, l’uragano Cinzia. Ci si sente dentro a un evento epico, oppure è come aspettare un amico un po’ invadente. Chiudi bene la porta, arriva Cinzia. E basta con le speculazioni ideologiche, basiamoci sui numeri. Quando io dico che in un luogo sono caduti 200 millimetri di acqua, cioè quanto abitualmente piove in un mese a Caracas, io spiego matematicamente la fatalità dell’accaduto. E non è vero che non ci diamo da fare, abbiamo sistemi di rilevamento modernissimi e faticosi… sa quanto tempo si perde a raccogliere duecento millimetri d’acqua con un cucchiaio? 
- Ma il mutamento climatico è ormai cosa conosciuta. Contro le esondazioni, le costruzioni abusive, le frane, non si può fare prevenzione?
- Per la prevenzione non abbiamo i soldi perché purtroppo dobbiamo spenderli per riparare i danni di ciò che non abbiamo prevenuto. Se spendessimo i soldi per la prevenzione, poi non avremmo i soldi per riparare i danni -
- Ma forse prevenendo non ci sarebbero i danni…
- Questo è un aspetto bizzarro della questione, che stiamo studiando. Ma noi facciamo tanta prevenzione. Ad esempio, in cinquant’anni le previsioni metereologiche televisive sono passate da tre a tremila al giorno, e la grafica è molto migliorata. Un altro esempio, se si costruiscono case in un luogo geologicamente pericoloso noi …
- Non lo permettete, e sgomberate -
- No, non possiamo intervenire, ci vorrebbe l’esercito. Ma diciamo subito che sono abusive. Poi le condoniamo. Anzi, d’ora in avanti pensiamo di condonarle ancora prima che le costruiscano abusivamente. Non è una grande idea? 
- Lei ragiona in modo strano. E le esondazioni?
- Non eravamo pronti. Una volta i fiumi “uscivano dal letto”, “allagavano”, “tracimavano”, “alluvionavano”. Ma adesso fanno una cosa nuova “esondano”. Non ce lo aspettavamo -.
- Ma è la stessa cosa. Il Po esonda o allaga, ma lo ha già fatto tante volte -.
- Certo, il Po se lo può permettere, è un grande fiume. Ma adesso qualsiasi torrentello o canale o fiumiciattolo si sente autorizzato a esondare. Non possiamo controllarli tutti, sembra che lo facciano apposta -. 
- E gli argini? I lavori di contenimento? Il rimboschimento? 
- Vede, se io devo costruire Milano Expo o i palazzi fantasma della Maddalena, io non ho ostacoli, i grandi appalti vanno rapidi e spediti, con un po’ di tangenti si sveltisce tutto. Ma ogni volta che c’è un appalto per un argine, per un lavoro di consolidamento, per dragare un fiume, le ditte in gara litigano, si appellano al Tar, si ritarda. Non è colpa nostra. Bisognerebbe affidare il piano di riassesto idrogeologico a un pool, o alla camorra o alla Fiat, e allora le cose andrebbero svelte. Ma non ce lo lasciano fare -.
- Perciò in futuro andrà anche peggio?
- Dipende da come vediamo la situazione. Noi stiamo preparando un nuovo approccio scientifico e mediatico. Anzitutto abbiamo creato l’evento ω, evento omega -.
- Cos’è?
- L’evento ω - omega è un tipo di accadimento rarissimo e imprevedibile. Ad esempio la pioggia su Genova, uno scontro tra comete, una connessione internet che funziona regolarmente, un arbitraggio di calcio senza polemiche. Questi eventi eccezionali possiamo affrontarli soltanto in un modo -
- E cioè?
- Vede la forma dell’omega, che cosa le ricorda? Dobbiamo sperare nel culo, e soprattutto noi politici dobbiamo avere la faccia come un culo -
- Non mi sembra granché come prevenzione -.
- La prevenzione non la deve fare il governo che ha già troppi pensieri con le banche europee e le spese pazze in vibratori. É la gente che deve assumersi le proprie responsabilità riguardo al mutamento climatico. Abbiamo dimenticato che l’homo sapiens viene dall’acqua, che siamo nati anfibi. Dobbiamo essere pronti a rientrare nel nostro elemento naturale. In ogni casa italiana ci deve essere almeno un gommone o una barca, salvagenti per tutti e una muta, (parola derivata da mutamento) e anche maschera e pinne. Basta lamentarsi che la metropolitana è allagata! Tuffatevi! Questo vuole dire essere buoni cittadini…
- Ma da anni si aspetta un nuovo piano idrogeologico -.
- E noi abbiamo molte idee nuove. Contro le nutrie che rodono gli argini, immetteremo nei fiumi decine di coccodrilli. Saranno proibiti i bed and breakfast nei crateri dei vulcani. Le commissioni rischio terremoti verranno sostituite da una cartomante. Verranno costruite case in cui ci sarà solo un quinto piano, per evitare allagamenti. Per evitare lamentele sui ritardi, nelle stazioni l’orario del treni verrà scritto in cinese. Ma soprattutto, da questo momento in tutto il paese vige il codice fucsia, vale a dire che siamo sempre in emergenza. Se uscite in auto, a piedi, in bici, cazzi vostri. Eravate avvertiti. 
- Insomma secondo lei gli italiani dovranno abituarsi alle catastrofi ?
- Sì, dovranno viverle serenamente, perché sono il futuro inevitabile. Addio clima mediterraneo, siamo entrati nel clima Omega. Scusi, ma mi chiamano al telefono -.
- Dottor Inevitabile, sono la sua segretaria. Mi dicono che la strada è allagata e la sua auto è stata trascinata via…
- Come? Ma è uno scandalo! Cosa è successo?
- Scusi ma sono caduti 132 millimetri di pioggia, il garage si è allagato come al solito e i tombini sono intasati - .
- Basta con questa cazzata dei millimetri di pioggia! Dove sono i pompieri? I tombini intasati, che scandalo! La mia Mercedes nuova. Cosa fa il governo?
- Scusi dottore, ma il governo è lei, e ci ha appena detto che dobbiamo adattarci al clima omega -
- Chi se ne frega, la macchina è mia. Dove sono i miei stivali da pesca e il salvagente a papero? Ma in che paese di merda viviamo? E in quanto all’evento omega, sa cosa le dico?
- Posso immaginare… grazie per l’intervista, dottor Inevitabile.

Stefano Benni 




mercoledì 19 novembre 2014

martedì 18 novembre 2014

Valigia per viaggi brevi



Cara: quando me ne sono andato, quando finalmente ho deciso di andarmene, perché ormai mi era impossibile convivere con gli antidoti della paura, io mi ero accorto che poco a poco avevo cominciato ad odiare i miei angoli preferiti o gli alberi ondeggianti, e non avevo più tempo né voglia di rifugiarmi all’edicola del quartiere Flores, e gli amici di sempre iniziavano ad essere gli amici di mai, e c’erano più cadaveri nei depositi di spazzatura che nelle imprese di pompe funebri, allora ho aperto la valigia per i viaggi brevi (anche se sapevo che questo sarebbe stato lungo) e ho cominciato a infilarci dentro ricordi a casaccio, oggetti insignificanti ma profondamente legati alla mia vita, immagini sintetiche della felicità, lettere che messe insieme raccontavano sofferenze, ultimi abbracci alla frontiera più vicina, sere senza le campane dell’angelus ma con il rumore a battola dei mitra, sorrisi che che erano state smorfie e viceversa, défaillance e atti di coraggio, insomma, un’antologia delle foglie secche che il vento dell’abitudine non era riuscito a portare via dalla faccia della guerra.
Con questa valigia dei viaggi brevi sono andato là e ancora più in là, qua e ancora più qua. Ogni tanto lavoravo con le mani agili e gli occhi asciutti, per guadagnarmi il pane, il vino, un tetto e un letto. Tuttavia, con la valigia dei viaggi brevi non avevo una relazione stretta. Io ero consapevole che stesse dormendo nel fondo dell’armadio sgangherato dal tempo e dai tarli. Ma a che scopo affrontare un passato in pillole, alcune nutrienti e altre avvelenate?
Eppure certe volte, di domenica, quando la solitudine diventava silenzio insopportabile, prendevo la valigia dall’armadio e tiravo fuori un ricordo; solo uno per volta, per non abbattermi. Così ho avuto tra le mani il libro che era stato sempre sul mio comodino e che devo aver letto una ventina di volte, però adesso mi sono dedicato alla lettura di diverse pagine e non mi ha detto niente, non mi ha domandato né risposto nulla, mi è risultato estraneo. Così, l’ho buttato via.
Un’altra domenica ho recuperato una foto che era diventata color seppia e lì c’erano vari personaggi che avevano occupato un posto importante nella mia vita. Due di loro chissà dove sono; uno resta fedele a se stesso; tre, hanno trovato, una notte, una morte con le spalline militari; altri due, con il tempo, sono diventati spie astute ed eleganti, e oggi godono del rispetto e dell’amnesia generale. L’ultimo sono io, ma anch’io sono un altro, quasi non mi riconosco, forse perché se mi guardo allo specchio non sono color seppia. Dopotutto, è una foto non più valida, scaduta. Così, l’ho buttata via.
Un’altra domenica ho estratto dalla valigia un orologio subacqueo e antiurto. È di una buona marca svizzera, però era fermo a un crono/simbolo, e cioè l’ora, il minuto e il secondo, in cui hanno ucciso per strada Venancio, tu sai chi è, vale a dire che questo tempo era stato il mio Greenwich. A cosa mi serve un orologio che misura e fissa solo il tempo della disgrazia? Così, l’ho buttato via.
Domenica dopo domenica ho vuotato la valigia: temperamatite, portapenne, occhiali da sole, ritagli di giornale, tranquillanti, agende, passaporti scaduti, altre fotografie, lettere di amici e nemici. La verità è che tutto mi sembrava caduco, inespressivo, silenzioso, incoerente, precario.
Eppure ieri, domenica, ho messo un’altra volta la mano in quel pozzo del passato e la mano è uscita fuori con qualcosa di tuo: il fazzoletto di seta azzurra, quello che per tre stagioni su quattro ti avvolgeva il collo, il tuo collo giovane, bello, che ho tanto amato. Loro l’hanno fatta finita con te, e io sono solo in un mondo insopportabile. Hanno ucciso te invece di uccidere me. È difficile ammettere, accidenti, che tu mi hai sostituito nella morte.
E quindi questa volta butterò nella spazzatura la mia povera valigia dei viaggi brevi e conserverò soltanto il tuo fazzoletto azzurro. Resterò con te per il viaggio lungo.

da Mario Benedetti, Lettere dal tempo







[Mario Orlando Hamlet Hardy Brenno Benedetti-Farugia, noto 

come Mario Benedetti (Paso de los Toros, 14 settembre 1920 

– Montevideo, 17 maggio 2009), è stato un poeta, saggista, 

scrittore e drammaturgo uruguaiano]