mercoledì 31 dicembre 2014

Fine anno



"Ogni giorno, milioni di notizie, di informazioni, di nozioni, e noi non riusciamo più a distinguere le cose importanti. Siamo confusi, abbiamo rimpiazzato “è vero, l’ha detto il telegiornale” con “è vero, l’ho letto su Facebook”, siamo analfabeti duepuntozero, analfabeti di rigetto. Imprenditori scriteriati hanno plagiato un governo che nessuno ha votato, un governo che ha manipolato l’informazione e ci ha convinti di essere una buona parte, se non la maggior parte, di una crisi economica; ci hanno accusato di avere troppi diritti, ci hanno mostrato che il marcio di questa società sono i sindacati e che per superare questa crisi occorra lavorare di più, produrre di più e tutto a salari più bassi e con meno tutele, perché è logico, chi è tutelato commette un crimine, si approfitta di un sistema e fa sperare a chi è stato assunto con contratti capestro di poter ottenere un giorno gli stessi diritti, quindi via i diritti di tutti, meno che nel pubblico impiego. Così noi poveri sciocchi avremo qualcuno da additare, i dipendenti pubblici, e saremo noi, con la nostra indignazione manipolata che chiederemo a un presidente del consiglio di fare giustizia. Mentre la soluzione sta nel senso opposto. Perché lavorare per produrre magazzini e riserve di oggetti che non potremo comprare o che non avremo tempo di usare, dato che dobbiamo lavorare di più guadagnando di meno? È il comma 22 dell’economia, l’implosione del liberismo come libertà economica.
La soluzione sta dalla parte opposta. Avere parità di salari e più tempo libero, per coltivare un orto, per passeggiare, per leggere, per dipingere, per veder crescere i figli, per amare e per sorridere, per andare al cinema o a teatro chissà dopo si vedrà, per andare in vacanza, per far correre il cane, per mettersi le dita nel naso…
Ma non possiamo. Siamo sempre troppo impegnati, sempre stressati e per allieviare il disagio fotografiamo e condividiamo cibo, gatti, cani, amplessi, tramonti, cessi e bocche a culo di gallina, crediamo di conoscere le persone per i due aforismi che scrivono sui social, ci innamoriamo di avatar, arriviamo a esserne gelosi addirittura. Siamo ancora quelli che ammirando la perfezione di un fiore vero dicono “che bello, sembra finto” e vedendone uno finto affermano “che bello, sembra vero”.
Questo siamo, però ne andiamo fieri, tanto è colpa degli statali
Buon 2015, coglioni."





lunedì 22 dicembre 2014

Bestie?








Paesi incivili / 4


 

Governo e Parlamento vogliono rendere non più punibili i reati contro gli animali. Dieci anni di norme penali contro maltrattamenti e uccisioni di animali finiranno nel cestino se sarà approvato lo “Schema di Decreto legislativo recante Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto” per tutti i reati con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni di reclusione. Non potranno più esserci processi come quello in corso contro l’allevamento Green Hill di beagle per la vivisezione, le condanne ottenute contro allevatori per lo scandalo “vacche a terra”, cacciatori per uso illegale di richiami vivi, circensi, organizzatori di combattimenti fra cani  e trafficanti di cuccioli.
Sono messi in pericolo i sequestri di animali poiché con l’archiviazione gli stessi animali dovranno essere restituiti ai loro stessi maltrattatori. La riforma del Codice penale sugli animali,
ottenuta nel 2004 con la Legge 189 – con sanzioni irrigidite nel 2010 con la Legge 201 - pur se parziale ha rappresentato una pietra miliare nel riconoscimento della tutela degli animali nel nostro ordinamento giuridico. Se sarà approvato in via definitiva lo “Schema di Decreto legislativo recante Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto”, l’Italia si arrenderà al maltrattamento degli animali, nonostante quanto affermato dal Trattato Europeo di Lisbona che li riconosce esseri senzienti e impegna gli Stati all’applicazione di questo principio. Giusto, doveroso, rendere più rapidi i procedimenti giudiziari ma non lasciando impuniti penalmente gli autori di reati gravi e che sono effettuati danneggiando tutta la società! Chi può fermare questo atto sconsiderato che se accompagnato dall’annunciato scioglimento del Corpo Forestale dello Stato va a realizzare un quadro dell’orrore per legalità e giustizia? Governo in primis e Parlamento. A loro chiediamo di non approvare lo “Schema di Decreto legislativo recante Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto” inviato dal Governo lo scorso 1 dicembre alle Camere - al momento non ancora pubblicato ufficialmente in Parlamento -  e sul quale le Commissioni parlamentari potranno dare solamente un parere. O, comunque, chiediamo di escludere esplicitamente dalla sua applicazione i reati contro gli animali.









sabato 20 dicembre 2014

Telethon



A esprimere con pacata chiarezza il proprio, personale dissenso verso Telethon e i test sugli animali, è il giornalista piemontese Elso Merlo, direttore responsabile di Rete Canavese Tv, attraverso un video che da alcuni giorni suscita grande dibattito. Vale senz’altro la pena di ascoltare gli argomenti di Merlo, che muove le proprie obiezioni a un sistema obsoleto ancorché crudele, dominato dalle multinazionali del farmaco. Interessate, queste ultime, a che le persone – i consumatori - vivano a lungo ma in assenza di salute, mentre nessuna delle malattie su cui fa leva la famosa maratona rivolta ai donatori è stata debellata, osserva il giornalista, a dispetto delle migliaia di miliardi raccolti da Telethon fra il 1989 a oggi: “A cosa serve continuare a sperimentare sugli animali? A cosa serve questa vecchia ricerca di inizio 900 in mano alle baronie, alle lobby del potere farmaceutico e non solo, se non ad alimentare loro stesse?” si chiede, citando fra l'altro diverse associazioni eccellenti nell’assistenza ai malati più gravi, le quali si dissociano dalla sperimentazione animale.
“Non sono un talebano delle grandi battaglie, né un antispecista e nemmeno animalista. Farei torto agli animalisti veri. Sono solo uno che si preoccupa del futuro, anche il mio. Vorrei che la gente incominciasse a guarire da malattie considerate incurabili. Ho rispetto dei volontari, di chi non la pensa come me” conclude “ma fa male al cuore veder strumentalizzati i bambini, i malati, per cercare di portare soldi a chi ne fa il proprio business, e non la nostra salute”.
Intanto è stata tumultuosa la protesta contro Telethon che si è svolta venerdì sera fuori dagli studi Rai di Roma, dove si svolgeva la diretta di una raccolta fondi.  Organizzata da Pae-Partito animalista europeo, Animalisti Italiani Onlus, Memento Naturae, Irriducibili Toscani, Istinto Animale, la manifestazione, che a quanto pare ha visto intervenire con energia un gran numero di poliziotti, si è conclusa con due attivisti portati via in ambulanza, altri al pronto soccorso, due arresti e un fermo. Al centro delle rimostranze animaliste, appunto, la vecchia ricerca promossa da Telethon basata sulla sperimentazione animale: secondo molti scienziati di nuova generazione (e non solo), un sacrificio industriale e non predittivo, date le profonde diversità che dividono le specie, quando non gli stessi individui. Tumori, malattie genetiche rare, virus, sono in costante aumento, a dispetto di metodi crudelissimi con cui ogni anno si torturano e uccidono milioni e milioni di esemplari. Gli animalisti, inoltre, puntano l’indice contro trasparenza e efficacia del sistema stesso, che assorbirebbe enormi risorse nella realizzazione della maratona Telethon, nonché in una dispersiva serie di progetti e pubblicazioni, finendo col destinare davvero alla ricerca solo una parte dei colossali introiti.






giovedì 18 dicembre 2014

domenica 7 dicembre 2014

Non esistono libri innocui



(...)  Il libro è una lettera che non ha busta, né indirizzo. Riguarda la vita di tutti noi, di ciascuno di noi. E' nostra, ma anche di persone che non sono più, o non sono ancora. Nulla più di un libro ci fa consapevoli di appartenere ad una comune umanità, illuminata e tormentata dalle medesime speranze e angosce. Il libro non sa dove va, chi incontrerà, come sarà accolto; esso viaggia in mezzo a noi, come un meraviglioso enigma. Non tutti i libri hanno la stessa vitalità. Molti, la grande maggioranza, si estinguono; ma quei pochi che sopravvivono sembrano eterni. Essi sono totalmente umani, e che siano vecchi di una sola, o di trenta generazioni, pare non avere alcuna importanza. Leggiamo Omero, leggiamo Leopardi. Tra mille anni, se vi saranno uomini, leggeranno Omero e Leopardi.
Dunque ci sono “grandi” libri, e ci sono “piccoli” libri. Ma non è facile definirli, né i grandi né i piccoli. Vi è qualcosa di misterioso attorno a un libro “grande”, e di solito il mistero avvolge anche il suo autore. Chissà se è esistito Omero. Di Shakespeare conosciamo data di nascita e morte e il nome della moglie. Di un “grande” libro possiamo dire che esso viene letto da una generazione dopo l’altra; I fratelli Karamazov di Dostoevskij ha compiuto cent’anni, e grandi libri sono stati scritti e si scriveranno sull’autore e su quel grande libro. Un grande libro racconta contemporaneamente molte storie e ogni lettore vi trova qualche cosa di diverso. Dunque un grande libro è inesauribile, come inesauribili sono gli esseri umani, misteriosi a se stessi. Vi sono libri che restano piccoli per molto tempo, poi, improvvisamente, diventano grandi. Pinocchio fu un libro per bambini, e solo da pochi anni ci si è accorti che è grande. I romanzi storici del nostro Ottocento ebbero migliaia di lettori, fecero piangere e disperare, e ora non si leggono più neppure a scuola, e di regola li leggono solo professori pagati per farlo. Non avere accesso al libro è dunque non avere accesso a noi stessi, alle zone più oscure, magiche, enigmatiche, a ciò che in noi sogna, ama, teme, crede e dispera. Oggetto umile e potente, il libro entra nella nostra vita con una forza terribile: e non è un caso che quelle parole siano state così spesso, siano tuttora perseguitate, trattate con diffidenza, con astio, con ira, giacché esse parlano a tutto ciò che è umano, o debbono tacere. Ma la totalità dell’uomo, sempre proposta e sempre elusa, è una oscura minaccia per chiunque abbia una verità in testa, e la forza di imporla.
Ci fu un tempo in cui la parola scritta era intimidatoria; pochi leggevano, e leggevano poche cose, e ne scrivevano anche di meno. Poi la parola scritta venne consegnata a tutti: divenne un privilegio, e insieme un mezzo per dominare. Parole liberatrici si mescolavano a parole che volevano persuadere all’ubbidienza. Allora qualcuno si rammentò che il bandito analfabeta imprendibile in mezzo alle montagne, era libero, assai più libero dell’uomo d’ordine che quotidianamente imparava una piccola e disonesta verità da un giornale qualsiasi. Ma il tempo passa, e le cose cambiano. Oggi, nuovamente, l’uomo orecchio, l’uomo palpebra, l’uomo che si consegna al quotidiano ipnotismo (manifesti, televisione, discorsi di potenti, immagini, tutto ciò che, apertamente o occultamente, è “propaganda”) è l’analfabeta che sa leggere, colui che ignora i libri, e soprattutto quello che i libri possono toccare dentro di lui.
In un mondo di pubblicità e di imbonimento, di menzogne non di rado confortate da cultura e da ingegnosa malafede, la possibilità di non essere catturati irreparabilmente, di non essere strumenti di incomprensibili o fittizie battaglie, sta nella nostra esperienza di noi stessi, della vastità e della drammaticità della sorte dell’uomo. Da questo punto di vista, non vi sono libri innocui, e non v’è cultura “che non fa male a nessuno” e rende migliori. Un grande libro è terribile, perché la sua storia dentro di noi non si spegnerà mai; e sarà la storia della nostra libertà. Una biblioteca è molte, strane, inquietanti cose: è un circo, una balera, una cerimonia, un incantesimo, una magheria, un viaggio per la terra, un viaggio al centro della terra, un viaggio per i cieli; è silenzio ed è una moltitudine di voci; è sussurro ed è urlo; è favola, è chiacchiera, è discorso delle cose ultime, è memoria, è riso, è profezia; soprattutto è un infinito labirinto, e un enigma che non vogliamo sciogliere, perché la sua misteriosa grandezza dà un oscuro senso alla nostra vita, quel senso che la pubblicità va cercando di cancellare.

Giorgio Manganelli





Ice age coming



We’re not scaremongering
This is really happening...





sabato 6 dicembre 2014

Maga



(…) la Maga amava tutti gli inverosimili guai in cui si trovava fino al collo per via del fallimento d’ogni legge nella sua vita. Era di quelle che fanno crollare i ponti quando li attraversano, o che si ricordano fra strilli e pianti di aver visto in una vetrina il biglietto della lotteria vincitore dei cinque milioni. Da parte mia, mi ero ormai abituato al fatto che mi capitassero cose modestamente eccezionali, e non trovavo troppo orribile che entrando in una stanza al buio per prendere un 33 giri, sentissi brulicare nel palmo della mano il corpo vivo d’un centopiedi gigante che aveva scelto di dormire sulla copertina del disco. Questo, e trovare dei pelacci grigi o verdi in un pacchetto di sigarette, o sentire il fischio di una locomotrice esattamente nel momento e con il tono necessario per incorporarsi ex officio in un passaggio di una sinfonia di Ludwig van, o entrare in una pissotière di rue de Medicis e vedere un uomo intento ad orinare diligentemente fino al momento in cui, allontanandosi dal suo settore, si girava verso di me e mi mostrava, sostenendolo con il palmo della mano, come un oggetto liturgico e prezioso, un membro di dimensioni e colori incredibili, e nello stesso attimo accorgermi che quell’uomo era esattamente uguale a un altro (anche se non era quell’altro) che ventiquattro ore prima, nella Salle de Geographie, aveva dissertato su totem e tabu, ed aveva mostrato al pubblico, sostenendoli bellamente sul palmo della mano, bacchette d’avorio, piume di uccelli del paradiso, monete rituali, fossili magici, stelle di mare, pesci disseccati, fotografie di concubine reali, offerte di cacciatori, enormi scarabei imbalsamati che facevano fremere di spaventata delizia le immancabili signore. Insomma, non è facile parlare della Maga che a quest’ora sta certamente girando per Belleville o per Pantin, intenta a guardare per terra fin quando non abbia trovato qualcosa di rosso. Se non lo trova continuerà cosi per tutta la notte, frugherà nei secchi della spazzatura, gli occhi vitrei, convinta che qualcosa d’orrendo le capiterà se non troverà quel pegno del riscatto, indice di perdono o di rinvio. So cosa significa perche anch’io obbedisco a questi segni, ci sono volte in cui anch’io devo trovare uno straccetto rosso. Fin da bambino, appena mi cade per terra qualcosa devo tirarlo su, qualunque cosa sia, perche se non lo faccio capiterà una disgrazia, non a me ma a qualcuno cui voglio bene, e il cui nome comincia con l’iniziale dell’oggetto caduto. Il guaio è che niente puo trattenermi quando qualcosa mi cade per terra, e non vale che sia un altro a raccoglierlo perchè il maleficio agirebbe ugualmente. Per questa ragione sono passato molte volte per pazzo e la verità e che sono preso da follia quando agisco così, quando mi precipito a raccattare una matita o un pezzetto di carta che mi sia scivolato di mano, come la sera della zolletta di zucchero nel ristorante di rue Scribe, un ristorante elegante frequentato da dirigenti, da puttane con la volpe argentata e da coppie bene assortite. Eravamo con Ronald ed Etienne, e a me cadde una zolletta di zucchero che andò a finire sotto un tavolo abbastanza lontano dal nostro. La prima cosa che attirò la mia attenzione fu il modo con cui la zolletta si era allontanata, perchè in generale le zollette di zucchero s’immobilizzano appena toccano terra per ragioni parallelepipede evidenti. Ma quella si comportava come se fosse stata una pallina di naftalina, cosa che aumento la mia apprensione, e giunsi a credere che veramente me l’avessero strappata di mano. Ronald, che mi conosce, guardò verso il punto dove era andata a fermarsi la zolletta, e comincio a ridere. Questo mi fece ancor piu paura, insieme a rabbia. Un cameriere si avvicinò pensando che mi fosse caduto qualcosa di prezioso, una Parker o una dentiera, ottenendo solo d’infastidirmi, per cui, senza chiedere scusa, mi gettai a terra e cominciai a cercare la zolletta di zucchero fra le scarpe della gente che se ne stava con grande curiosità (e a ragione) credendo che si trattasse di qualcosa di importante. Al tavolo era seduta una cicciona con i capelli rossi, un’altra meno grassa ma altrettanto puttana, e due dirigenti o qualcosa di simile. Innanzi tutto mi resi conto che la zolletta era invisibile, e dire che l’avevo vista saltare fino a quelle scarpe (che si muovevano inquiete come galline). Per colmo di disgrazia c’era il tappeto, e sebbene facesse schifo tanto era usato, la zolletta era dovuta andare a nascondersi fra i peli, ma non riuscivo a trovarla. Il cameriere si distese dall’altra parte del tavolo, ed ormai eravamo due quadrupedi che si muovevano fra le scarpe-gallina che lassù cominciavano a starnazzare come pazze. Il cameriere continuava ad essere convinto della Parker o del Luigi d’oro, e quando eravamo ormai infilati sotto il tavolo, in una specie di grande intimità e penombra, e lui mi domandò e io risposi, fece una faccia che era da spruzzare con un fissatore, ma io non avevo nessuna voglia di ridere, la paura mi aveva chiuso a doppio giro la bocca dello stomaco e infine fui preso da una vera disperazione (il cameriere si era alzato furibondo) e cominciai ad afferrare le scarpe delle donne e a guardare se sotto l’arco della suola non si fosse acquattata la zolletta, e le galline starnazzavano, i galli dirigenti mi beccavano la schiena, sentivo le risate di Ronald e di Etienne mentre mi spostavo da un tavolo all’altro fin quando non ebbi trovato lo zucchero nascosto dietro una gamba Secondo Impero. E tutti quanti furibondi, persino io con lo zucchero stretto nel palmo della mano, sentendo in qual modo si mescolava al sudore della pelle, in qual modo, schifosamente, si scioglieva in una sorta di vendetta appiccicosa, questo genere di episodi tutti i giorni.

Cortazar, Il gioco del mondo



lunedì 1 dicembre 2014

Un'altra vita / 1971




“A fine 2011 (…) feci un'intervista per un quotidiano nazionale che titolava più o meno "Le cinque vite di Claudio Rocchi" (…) Raccontavo di una vita da studente, una seconda da aspirante rock star, una terza da aspirante santo indù, una quarta da aspirante "normale" professionista tra broadcast, media e business immobiliare. La quinta era quella in cui rientravo allora, per una serie di benedette concorrenze tra Amore e Ispirazione, di musicista ritrovato con voglia di concerti ed energia per farli. Poi arrivò la sesta. Una grave malattia degenerativa alle ossa mi faceva di fatto malato terminale pur continuando io di fatto, tra stampelle e bastoni, a fare finta di niente e guidare in su per mari e autostrade a fare i miei concerti.
Eccoci infine alla settima vita. La vivo da 20gg o poco più e tutto è successo in meno di 12 ore. Un crollo vertebrale ha determinato un'invasione del midollo spinale e di fatto ho perso l'uso delle gambe. Ho sentito risalire forte da dentro una risata incontenibile accompagnata dalla domanda: Ma cazzo, non era sufficiente così? Pure paraplegico ora?
Adesso, dopo vari accertamenti a tutto campo, il quadro clinico è fissato. Patologia non reversibile che innesta la perdita d'uso degli arti inferiori sulla patologia ossea degenerativa. Sono ultra fragile, e devo stare praticamente a letto evitando movimenti di ogni genere che potrebbero, nel caso di un'invasione midollare più alta del D11 odierno, pregiudicare anche l'uso degli arti superiori. Non male, vero, per mettere alla prova il buonumore? (…)
Eccomi quindi a scrivere e vivere questa settima vita. Sarà probabilmente più difficile lavorare e fare fronte a complessità che non potevo certo prevedere. Anche spese per attrezzare questa settima vita con gli strumenti tecnici che le saranno necessari.
Certi strumenti miei (musicali e non) non saranno invece più necessari per me e a breve vi dirò di cosa mi voglio liberare. Chissà? Forse a qualcuno di voi potrà interessare qualcuna delle mie splendide chitarre, forse a qualcuno piacerà guidare la mia auto, od avere qualche traccia dalle mie vite precedenti. I grandi libri rilegati dove scrivevo i testi delle mie canzoni e disegnavo nei '70, i dorje tibetani per le puje di liberazione, qualche stravagante memorabilia da puro collezionismo, gli acetati dei miei provini inediti, i nastri magnetici originali, qualche raro libro super esoterico che mi accompagna da sempre, i miei quadri mai esposti.
Io voglio alleggerire il carico, liberarmi di oggetti e tracciati ora davvero superflui e non utili. La settima vita me lo chiede e ho pensato di dirvelo.
A presto carissimi. Hugs to you all.”
Claudio Rocchi (Milano, 8 gennaio 1951 – Roma, 18 giugno 2013)