mercoledì 30 novembre 2016

BelPaese




Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell'oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue conversioni. Ma l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com’è. In cui tutto scorre per non passare davvero. Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili, imparerebbe che questo Paese è speciale nel vivere alla grande, ma con le pezze al culo, che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale.

Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, 1975 
 






 

Spese militari




64 milioni al giorno: lo shopping record per le spese militari

Ecco come emerge la spesa quotidiana che il nostro Paese sosterrà per il 2017: 64 milioni di euro al giorno (2,7 milioni di euro all’ora), un maxi-assegno da 23 miliardi e 377 milioni, con una crescita dello 0,7 per cento rispetto al 2016. In questo enorme calderone il personale rimane voce di spesa più onerosa per lenta applicazione della riforma Di Paola e si traduce in più comandanti che comandati, un’esercito di 90 mila ufficiali senza però una truppa che esegue gli ordini, appena 81mila i ranghi più bassi.
Il costo degli armamenti segue lo stesso trend e salgono a 5 miliardi e 600 milioni per l’aumento dei contributi del Ministero dello Sviluppo economico che decide di destinare l’89 per cento degli incentivi per le imprese proprio a chi produce tecnologia, radar e missili.
«Urgenza e dimensione del budget militare è determinato non da reali esigenze di sicurezza nazionale ma da logiche industrial-commerciali che hanno come effetto p
rogrammi sproporzionati rispetto alle necessità», spiegano gli autori del dossier Enrico Piovesana e Francesco Vignarca: «Programmi giustificati gonfiando le necessità stesse, come nel caso dei caccia F-35 o delle navi da rimpiazzare con le nuove, oppure ricorrendo alla retorica del doppio uso militare e civile: la nuova portaerei Trieste è stata presentata come nave umanitaria per il soccorso nel Mediterraneo».

l'Espresso







lunedì 28 novembre 2016

Dilapidatore




Vedi, Michele, non si è mai abbastanza morbosi, perché per quanto si viva del passato c’è sempre qualcosa di ineludibile, nel presente, che ci plagia e ci umilia. Distrazioni, pulsioni, scuse buone per scrollarsi di dosso un po’ di coperte, così quell’aria chiusa in cui consistevi riceve aria nuova, ciao consistenza, nuove scuole, nuove case, nuove luci e noi intanto abbiamo dato il culo a chiunque, a furia di darlo ci siamo persi… Ma basta che ci capiti in mano una nostra fotografia di quando avevamo sette o dieci anni per scioglierci di commozione come ulissidi che rivedan la patria, ecco chi sono gridiamo, quello lì sono, volevo ben dire, io sono sempre quello. Ma intanto, hai dilapidato. Se hai venti giochi e ne conservi diciotto sei già fritto. Se un certo coltellino con il manico di madreperla, una certa calamita smaltata di rosso incominci a metterli lievemente da parte (statevene qui per un po’ dici affettuoso mentre li adagi in un cassetto), ecco, sei fritto. Sei diventato un dilapidatore.

Michele Mari, L'uomo che uccise Liberty Valance (in Tu, sanguinosa infanzia)


 



Christmas advert










domenica 27 novembre 2016

Ipotesi




Oggi che la mia vita è cambiata così tanto, ci sono momenti in cui ripenso agli anni della mia prima infanzia e mi ritrovo a dire: Non era poi chissà quale tragedia. E forse non lo era. Ma ci sono anche momenti in cui, all’improvviso, mentre percorro un marciapiede assolato, o guardo la chioma di un albero piegata dal vento, o vedo il cielo di novembre calare sull’East River, mi sento invadere dalla consapevolezza di un buio talmente abissale che potrei urlare, e allora entro nel primo negozio di vestiti e mi metto a chiacchierare con una sconosciuta dei modelli di maglioni appena arrivati. Deve essere il sistema che adottiamo quasi tutti per muoverci nel mondo, sapendo e non sapendo, infestati dai ricordi che non possono assolutamente essere veri.
Eppure, quando vedo gli altri incedere sicuri per la strada, come se non conoscessero per niente la paura, mi accorgo che non so cos'hanno dentro. La vita sembra spesso fatta di ipotesi.


Elizabeth Strout, Mi chiamo Lucy Barton




Gotta get cozy














sabato 26 novembre 2016

Animal Equality



Quello che nessuno ti vuole raccontare

No, raccontare la realtà degli allevamenti intensivi non è mai semplice. Vorremmo non fosse necessario, ma non farlo vorrebbe dire abbandonare gli animali a loro stessi. E noi abbiamo promesso che non li avremmo mai più lasciati soli.
Per questo, ogni giorno gli investigatori di Animal Equality fanno quello che avrebbero preferito evitare: entrano in quel mondo fatto di sofferenza e crudeltà e documentano attraverso le telecamere (ed i propri occhi) quello a cui preferirebbero non assistere.
Non è una cosa semplice, sia dal punto di vista pratico che, soprattutto, dal punto di vista emotivo.
Ma qualcuno lo deve fare: mostrare la sofferenza costante di queste creature è il modo più diretto che abbiamo per smascherare l'industria della carne. Parallelamente, è anche il più potente mezzo per scatenare domande e riflessioni ed iniziare a far germogliare empatia verso gli animali. Ecco perchè importante mostrare quello che nessuno vuole far vedere: perchè tutta questa violenza cessi il prima possibile. Quello che hai visto è la routine all'interno degli allevamenti. Benchè i nostri investigatori abbiano documentato violenze di ogni tipo, abbiamo volutamente scelto le immagini meno cruente.

ANIMAL EQUALITY













Via, via










sabato 12 novembre 2016

Qui e ora




Non ha senso rimpiangere ora vie non percorse. Tormentarsi immaginando che la vita avrebbe potuto essere più ricca. Avevo questa idea: vivere la pace e la serenità emancipandomi dal volere sempre di più, dal bramare ogni cosa. Era un ideale di frugalità, di opposizione all’avidità dominante. Desideravo un mondo meno lacerato da conflitti, ove si imparasse a sentirsi felici di quanto si ha, assaporarlo, apprezzarlo. Questa continua a sembrarmi un’aspirazione degna. Se vacilla, è perché di fronte alla paura, alla palpabilità di un imminente non esserci più, l'anima è aggredita da fantasmi, tentazioni, dubbi. La dissoluzione coinvolge, oltre al corpo, il pensiero e la fede e la forza d'animo. (...)
Suppongo capiti, nel rendersi conto di tutto quello che non si potrà sperimentare mai più, di chiedersi se non c’era qualcosa di sbagliato. Mentre me lo chiedo tuttavia vedo anche svaporare la forza attrattiva di quel che non è stato? Non c'è risposta, non c'è risposta. Solo questa, forse: dimorare per quanto possibile tranquilla nella contemplazione di quanto perturba la mente, attenuare per quanto possibile l'identificazione con simili pensieri tormentosi, proseguire lungo la via già intrapresa. Accettare il qui e ora, e questo significa: non sprecare energie nell’anelito vano di mutare ciò che è stato, sperarlo diverso. Abbracciando per quanto possibile con tenerezza quest’anima tremebonda che teme di aver sbagliato tutto.


Pia Pera, Al giardino ancora non l'ho detto




venerdì 11 novembre 2016

giovedì 10 novembre 2016

R.I.P.




Considero il vegetarianesimo una conquista culturale e un segno di civiltà. Chi è vegetariano si sente cittadino 
della Terra, perché non deve uccidere e massacrare i suoi abitanti per rispondere al suo primordiale bisogno di cibo. L’orgoglio vegetariano è analogo a quello che provavano i greci che appartenevano alle prime scuole filosofiche e infatti i vegetariani convinti, a partire da Leonardo da Vinci fino ai Beatles, hanno fatto della loro scelta una bandiera, che indica una certa visione del mondo: con meno violenza, meno morte, più coscienza 
e più senso di responsabilità individuale.
Einstein fu probabilmente il primo a definire il vegetarianesimo anche come una necessità per la sopravvivenza dell’ umanità, collegando le scelte alimentari personali all’equilibrio delle risorse del pianeta.
Oggi la nostra sopravvivenza è minacciata in modo molto più evidente rispetto ai tempi del grande fisico. Siamo sette miliardi sulla Terra e si prevede che saremo 9 miliardi nel 2050. Agli esseri umani, bisogna poi aggiungere 4 miliardi di capi di bestiame, che servono a nutrire una minoranza della popolazione già sovralimentata, togliendo cibo a chi ancora muore di fame.
Se già oggi abbiamo difficoltà a soddisfare 
11 miliardi di bocche da sfamare e dissetare, dobbiamo domandarci qual 
è il limite oltre il quale si scatenerà la catastrofica lotta per acqua e cibo. Certo possiamo avere fiducia nella scienza 
e nella sua capacità di aumentare la quantità e la qualità di risorse idriche 
e alimentari, ma comunque si arriverà 
a un limite e il mondo civile dovrebbe impegnarsi a pensarci ora per assicurare un futuro alle prossime generazioni. E poi che faremo? Possiamo limitare le nascite, come già sta accadendo nei Paesi occidentali per altri motivi. Ma un mondo senza bambini non è forse un incubo peggiore? Esiste una soluzione più accettabile e ad effetto immediato: evitare il consumo di carne, la soluzione di Einstein.
La carne non è un alimento sostenibile: per ottenere un chilo di carne occorrono 15 o 20 mila litri di acqua, mentre ne occorrono 1000 per ottenere un chilo di cereali. Senza contare che 
i capi di bestiame sono 4 miliardi 
di macchine che producono anidride carbonica e consumano ossigeno , oltre a sottrarre alla Terra campi coltivabili 
o intere foreste, sorgenti di aria pura.
Mucche. Pesci, polli, maiali. Prodotti in batteria 
e trasportati per miglia. Fino alle nostre tavole. Ecco le conseguenze del cibo prodotto in maniera intensiva. 
Sulla nostra salute. E quella del pianeta
Quindi il vegetarianesimo è una scelta 
di rispetto per l’ambiente e di responsabilità nei confronti del futuro dell’uomo. Ma è soprattutto una scelta 
di amore per la vita e per gli animali. 
Mi rendo conto che è difficile pensare 
al dolore terribile degli animali quando 
si mangia carne: come immaginare che quella fettina sottile e ben cucinata che 
ci presentano nel piatto era pochi giorni prima un vitellino che scorrazzava nei prati accanto alla mamma? Ancor meno facile è visualizzare le torture che ha subito nel macello. Per questo consiglio 
a tutti il libro che è ormai il cult del vegetarianesimo : “Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?” 
di Jonathan Safran Foer, in cui l’autore americano racconta perchè da carnivoro 
è diventata vegetariano. Il tema centrale è la violenza perpetrata quotidianamente agli animali di allevamento e la riflessione delle conseguenze che questo dolore tremendo ha sulla vita dell’uomo.
Già Tolstoj scriveva: «Se i macelli avessero le pareti di vetro saremmo tutti vegetariani».
Noi vegetariani abbiamo già preso coscienza di questa realtà. E ne siamo felici e orgogliosi.

Umberto Veronesi
  





DFW / 4




Ormai è una parola abusata e banale, “disperato”, ma è una parola seria, e la sto usando seriamente. Per me indica una semplice combinazione – uno strano desiderio di morte, mescolato a un disarmante senso di piccolezza e futilità che si presenta come paura della morte. Forse si avvicina a quello che la gente chiama terrore e angoscia. Ma non è neanche questo. È più come avere il desiderio di morire per sfuggire alla sensazione insopportabile di prendere coscienza di quanto si è piccoli e deboli ed egoisti e destinati senza alcun dubbio alla morte. 

David Foster Wallace, Una cosa divertente che non farò mai più






 

mercoledì 9 novembre 2016

No surprises










This is my final fit, my final bellyache








domenica 6 novembre 2016

sabato 5 novembre 2016

God




In me l'ateismo non é nè una conseguenza, nè tanto meno un fatto nuovo: esso esiste in me per istinto. Sono troppo curioso, troppo incredulo, troppo insolente per accontentarmi di una risposta così grossolana. Dio é una risposta grossolana, un'indelicatezza contro noi pensatori: anzi, addirittura, non é altro che un grossolano divieto contro di noi: non dovete pensare [...]
Il concetto di Dio fu trovato come antitesi a quello di vita, in esso fu riunito in una terribile unità tutto ciò che vi era di dannoso, di velenoso, di calunnioso, tutto l'odio mortale contro la vita. Il concetto dell'al di là, del vero mondo, fu creato per disprezzare l'unico mondo che ci sia, per non conservare più alla nostra realtà terrena alcuno scopo, alcuna ragione, alcun compito. I concetti di anima, di spirito, e, infine, anche quello di anima immortale, furono inventati per insegnare a disprezzare il corpo, a renderlo malato -cioè santo- per opporre a tutte le cose che meritano di essere trattate con serietà nella vita.

Nietzsche, Ecce homo








giovedì 3 novembre 2016

L'uomo è la bestia




Le mucche negli allevamenti intensivi vengono trattate come merci. Le mucche da latte vengono separate dai loro vitellini poco tempo dopo il parto. Vengono maltrattate, non hanno lo spazio sufficiente per vivere e difficilmente ricevono il rispetto che meritano.
Purtroppo questo tipo di trattamento può riguardare non soltanto i grandi allevamenti dell’industria lattiero-casearia ma anche realtà di dimensioni più piccole. Purtroppo quella di trattare gli animali solo come merci è una tendenza che può riguardare qualsiasi tipo di allevamento.
Safe, un’organizzazione che difende i diritti degli animali in Nuova Zelanda, ha girato questo video nella reione di Waikato. La mucca è insieme al suo vitellino ormai morto che giace a pochi metri da lei.
La mucca non può muoversi, è costretta a rimanere ferma con un metodo doloroso e straziante che è considerato illegale e che solo in caso di necessità può essere utilizzato per non più di 10 minuti per sollevare e spostare gli animali. Appena possibile deve essere allentato e rimosso.

Le mucche sono animali molto intelligenti ed emotivi, in grado di percepire il dolore proprio come qualsiasi altro animale o essere umano. 
 





Sea




Mohsin Abrar / 2016 National Geographic Nature Photographer of the Year




Topi


















mercoledì 2 novembre 2016

Per ascoltare bisogna aver fame




Dunque, per ascoltare
avvicina all’orecchio
la conchiglia della mano
che ti trasmetta le linee sonore
del passato, le morbide voci
e quelle ghiacciate,
e la colonna audace del futuro,
fino alla sabbia lenta
del presente, allora prediligi
il silenzio che segue la nota
e la rende sconosciuta
e lesta nello sfuggire
ogni via domestica del senso.
Accosta all’orecchio il vuoto
fecondo della mano,
vuoto con vuoto.
Ripiega i pensieri
fino a riceverle in pieno
petto risonante
le parole in boccio.
Per ascoltare bisogna aver fame
e anche sete,
sete che sia tutt’uno col deserto,
fame che è pezzetto di pane in tasca
e briciole per chiamare i voli,
perché è in volo che arriva il senso
e non rifacendo il cammino a ritroso,
visto che il sentiero,
anche quando è il medesimo,
non è mai lo stesso
dell’andata.
Dunque, abbraccia le parole
come fanno le rondini col cielo,
tuffandosi, aperte all’infinito,
abisso del senso.

Chandra Livia Candiani, Mappa per l’ascolto