martedì 29 marzo 2016

Mirror in mirror




Quello che vi chiedo è di seguirmi in uno spazio sconfinato, dove regnano l’eternità, 
la quiete, la pace e il vuoto infinito



Spiegel im Spiegel is a piece of music written by Arvo Pärt in 1978, just prior to his departure from Estonia. The piece was originally written for a single piano and violin.










Trafitti



La vita è trafitta da altre vite, da altri mondi, come l’aria dalla pioggia.
Una ruota gira e si ingrana su un’altra.
Non può essere, eppure è così. Lo sapete anche voi.
Avvitata ad un altro mondo, mia moglie dorme e non sa di che colpa mi sono macchiato in un terzo mondo.
Qualcuno tesse la nostra vita su uno strano telaio. I fili sono tesi non soltanto per il lungo e per il largo, e nemmeno soltanto verso l’alto. Quando verrà tolta dal telaio vedremo una cosa strana: non tessuto e neppure una specie di ponte, ma una ruota che lavora là dove già ne lavora un’altra che forma un angolo retto con la prima, e una vita trafitta da altre vite come l’aria è trafitta dalla pioggia.
Forse anche la vita nostra ne trafigge un’altra, come la pioggia. 
 
Viktor Šklovskij, La mossa del cavallo


 

domenica 27 marzo 2016

Betulla



Quello che voi chiamate amore (sacrificio, fedeltà, gelosia) tenetelo in serbo per gli altri, per un’altra – io non ne ho bisogno. Io posso amare solo la persona che in una giornata di primavera a me preferirà una betulla 
 
Marina Cvetaeva




 

None of this



You can keep what you want
I want none of it
They’re just bad memories
I don’t want

Take a lesson from me
Don’t get stuck on a dream




sabato 26 marzo 2016

Fiamme



La persona che ha una così detta "depressione psicotica" e cerca di uccidersi non lo fa aperte le virgolette "per sfiducia" o per qualche altra convinzione astratta che il dare e avere nella vita non sono in pari. E sicuramente non lo fa perché improvvisamente la morte comincia a sembrarle attraente. La persona in cui l'invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme. Non vi sbagliate sulle persone che si buttano dalle finestre in fiamme. Il loro terrore di cadere da una grande altezza è lo stesso che proveremmo voi o io se ci trovassimo davanti alla finestra per dare un'occhiata al paesaggio; cioè la paura di cadere rimane una costante. Qui la variabile è l'altro terrore, le fiamme del fuoco: quando le fiamme sono vicine, morire per una caduta diventa il meno terribile dei due terrori. Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme. Eppure nessuno di quelli in strada che guardano in su e urlano "No!" e "Aspetta!" riesce a capire il salto. Dovresti essere stato intrappolato anche tu e aver sentito le fiamme per capire davvero un terrore molto peggiore di quello della caduta.

DFW, Infinite Jest


(100.000 monks in prayer for a better world)













Svegliami




Sezionatori d'anime giocano con il bisturi
maggioranze boriose cercano furbi e stupidi
sobillano i malvagi aizzano i violenti
e gli invidiosi indispongono

cerco le qualità che non rendono
in questa razza umana
che adora gli orologi
e non conosce il tempo
cerco le qualità che non valgono
in questa età di mezzo

ha conati di vomito la terra
e si stravolge il cielo con le stelle
e non c'è modo di fuggire
e non c'è modo di fuggire mai 

svegliami svegliami svegliami

CCCP, Svegliami, 1989





venerdì 18 marzo 2016

lunedì 14 marzo 2016

Il cuore nuovo




Ho da fare!
sto fabbricando
un modello di cuore
interamente nuovo.
Un cuore per il futuro
con cui sentire e amare.
Un cuore
con cui capire gli uomini
e anche in grado di dirmi
a chi io possa liberamente
stringere la mano
e a chi
non dovrei tenderla
mai.

Semën Kirsanov 




La pecora nera




C'era un paese dove erano tutti ladri.
La notte ogni abitante usciva, coi grimaldelli e la lanterna cieca, e andava a scassinare la casa di un vicino. Rincasava all'alba, carico, e trovava la casa svaligiata.
E così tutti vivevano in concordia e senza danno, poiché l'uno rubava all'altro, e questo a un altro ancora e così via, finché non si rubava a un ultimo che rubava al primo. 
Il commercio in quel paese si praticava solo sotto forma d'imbroglio e da parte di chi vendeva e da parte di chi comprava. Il governo era un'associazione a delinquere ai danni dei sudditi, e i sudditi dal canto loro badavano solo a frodare il governo. Così la vita proseguiva senza inciampi, e non c'erano né ricchi né poveri.
Ora, non si sa come, accadde che nel paese si venisse a trovare un uomo onesto. La notte, invece di uscirsene col sacco e la lanterna, stava in casa a fumare e a leggere romanzi.
Venivano i ladri, vedevano la luce accesa e non salivano.
Questo fatto durò per un poco: poi bisognò fargli comprendere che se lui voleva vivere senza far niente, non era una buona ragione per non lasciar fare agli altri. Ogni notte che lui passava in casa, era una famiglia che non mangiava l'indomani.
Di fronte a queste ragioni l'uomo onesto non poteva opporsi. Prese anche lui a uscire la sera per tornare all'alba, ma a rubare non ci andava. Onesto era, non c'era nulla da fare. Andava fino al ponte e stava a veder passare l'acqua sotto. Tornava a casa, e la trovava svaligiata.
In meno di una settimana l'uomo onesto si trovò senza un soldo, senza di che mangiare, con la casa vuota. Ma fin qui poco male, perché era colpa sua; il guaio era che da questo suo modo di fare ne nasceva tutto un cambiamento. Perché lui si faceva rubare tutto e intanto non rubava a nessuno; così c'era sempre qualcuno che rincasando all'alba trovava la casa intatta: la casa che avrebbe dovuto svaligiare lui. Fatto sta che dopo un poco quelli che non venivano derubati si trovarono ad essere più ricchi degli altri e a non voler più rubare. E, d'altronde, quelli che venivano per rubare in casa dell'uomo onesto la trovarono sempre vuota; così diventavano poveri.
Intanto, quelli diventati ricchi presero l'abitudine anche loro di andare la notte sul ponte, a veder l'acqua che passava sotto. Questo aumentò lo scompiglio, perché ci furono molti altri che diventarono ricchi e molti altri che diventarono poveri.
Ora, i ricchi videro che ad andare la notte sul ponte, dopo un po’ sarebbero diventati poveri. E pensarono: - Paghiamo dei poveri che vadano a rubare per conto nostro -. Si fecero i contratti, furono stabiliti i salari, le percentuali: naturalmente sempre ladri erano, e cercavano di ingannarsi gli uni con gli altri. Ma, come succede, i ricchi diventavano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
C'erano dei ricchi così ricchi da non avere più bisogno di rubare per continuare a esser ricchi. Però se smettevano di rubare diventavano poveri perché i poveri li derubavano. Allora pagarono i più poveri dei poveri per difendere la roba loro dagli altri poveri, e così istituirono la polizia, e costruirono le carceri.
In tal modo, già pochi anni dopo l'avvenimento dell'uomo onesto, non si parlava più di rubare o di esser derubati ma solo di ricchi e poveri; eppure erano sempre tutti ladri.
Di onesti c'è stato solo quel tale, ed era morto subito, di fame.

Italo Calvino, La pecora nera, da Prima che tu dica «Pronto»
 




domenica 13 marzo 2016

Cats in Istanbul



Si narra che Maometto, mentre leggeva con un braccio allungato sul tavolo, fu avvicinato dal suo gatto, che gli si sdraiò sulla manica a dormire. Giunta l'ora della preghiera Maometto guardò il gatto, in dubbio se svegliarlo e liberare il braccio; ma l'animale aveva una tale aria estatica che il profeta, certo che in quel momento il gatto stesse comunicando con Allah, preferì tagliarsi la manica della preziosa veste, per poter pregare, piuttosto che disturbarlo.
Al ritorno dalla preghiera il gatto, riconoscente, gli fece grandi fusa per ringraziarlo e Maometto, commosso, gli riservò un posto in Paradiso. Ma non solo: gli impose per tre volte le mani sulla schiena, dandogli la meravigliosa capacità di cadere sempre sulle quattro zampe senza farsi male.


 
 Mustafa Efe, imam di una moschea a Istanbul, dall'anno scorso ha deciso di ospitare i gatti all'interno dell'edificio per salvarli dal freddo: i gatti possono girare liberamente all'interno di questo spazio dedicato alla preghiera, facendo anche compagnia ai fedeli che si recano in questa moschea.
 La religione islamica è molto legata alla figura del gatto; si narra che il profeta Maometto avesse una micia di nome Muezza, che teneva in grembo mentre predicava e che lo salvò dal morso di un serpente. Tanto è il rispetto verso i gatti che, per il culto dell’Islam, questi sono considerati “quasi sacri”. O meglio, così credono i cittadini di Istanbul, i quali spesso adottano i gatti di strada, che ritengono degli intermediari tra Dio e l’uomo, tanto da chiamarli Tanri misafiri, ossia “ospiti di Dio”, e per questo vengono trattati con rispetto e devozione.


Kedi, di Ceyda Torun, racconta Istanbul attraverso gli occhi di gatti che ci abitano. 
Kedi è stato realizzato raccogliendo le testimonianze di diversi abitanti della città per cercare di capire come questa possa essere vissuta dai gatti che la vivono perché, dice Torun, "a Istanbul un gatto non è solo un gatto, ma incarna il caos e la cultura della città".











martedì 8 marzo 2016

Women



Ha vissuto, Lucia Berlin. È stata insegnante, donna delle pulizie, centralinista, infermiera, ha avuto quattro figli da tre uomini diversi, ha abitato in camper, nella New York dei musicisti jazz, in una comune hippie a Berkeley. È stata ricchissima, poverissima, alcolizzata e infine sobria e seria professoressa universitaria. (…) 
Ha pubblicato per riviste e piccoli editori, e negli ultimi anni ha insegnato a Boulder, all’università del Colorado, adorata dai suoi allievi e dagli amici poeti ma sconosciuta alla maggior parte dei lettori. È morta nel 2004, a 68 anni, e l’anno scorso è diventata uno degli scrittori più importanti del Novecento americano. Grazie all’amore e la passione di Stephen Emerson e Lydia Davis, che hanno voluto ostinatamente e poi curato "A manual of cleaning woman", pubblicato da Farrar, Straus and Giroux. Quarantatré racconti, quarantatré piccoli capolavori. (…) È un libro sontuoso, stracolmo di meraviglie, vale la pena tenerlo vicino al comodino e leggerlo lentamente, una storia ogni tanto. Centellinarlo, come una cosa buonissima. È una raccolta di storie ma è soprattutto il romanzo di un’esistenza, con tutte le sue sfumature, le battaglie vinte e perse. (…)
 Negli ultimi anni della sua vita Lucia Berlin dovette convivere con la bombola di ossigeno, imposta dal collasso di un polmone, conseguenza della scoliosi di cui aveva sofferto fin da bambina. All’epoca, intorno al 2002, viveva in un camper, in uno di quei parcheggi che nascono vicino alle città, perché la malattia l’aveva ridotta in bancarotta. Lo racconta Elizabeth Geoghegan, scrittrice, che andò a trovarla e la intervistò per The Paris Review. Quando arrivò, Lucia le chiese se poteva farle la cortesia di andarle a comprare un paio di sigarette, che si vendevano sfuse nella drogheria del paese. Prendi le più forti, le chiese. Le fumò entrambe, con gusto, scostandosi dal naso i tubicini della bombola. Era una splendida conversatrice, parlava molte lingue, amava il gossip e Cechov, ridere e vivere fino in fondo (…)

 Dopo il periodo trascorso in Texas da bambina, al ritorno del padre Lucia Berlin di trasferisce a Santiago del Cile con tutta la famiglia. E diventa una giovane ereditiera, frequenta il jet set, permette al principe Ali Khan di accenderle la prima sigaretta. Ma in quel periodo sua madre inizia a bere pesantemente, a passare le sue giornate a letto. Lo racconta più avanti, nelle storie che riguardano la sorella malata di cancro. Che morì nel 1992 a Città del Messico. Lucia la assistette per due anni. I racconti di queste due donne adulte, che fanno i conti col passato, non rinunciano alla seduzione tra una seduta di chemio e l’altra e si amano ferocemente, sono magnifici. Fool to cry, per esempio, dove scorre una gran quantità di amore esagerato, sgangherato, commovente. (...)
 
Elena Stancanelli su D.Repubblica, 10 febbraio 2016 
 


La solitudine è un concetto anglosassone. A Città del Messico, se una persona sale su un autobus e tu sei l’unico passeggero, non solo viene a sedersi vicino a te, ma ti appoggia anche la testa sulla spalla. 

(da Fool to cry)




 

Zombie





C'è stato un tempo in cui noi eravamo cadaveri vivi, c'è stato un tempo in cui vivevamo nei cimiteri al fosforo, camposanti di lusso con connessione veloce alla rete. C'è stato un tempo in cui frequentavamo solo funerali e tra le bare degli eroi morti in guerra pomiciavamo con le veline. C'è stato un tempo in cui il tempo non era né bello né brutto, c'è stato un tempo in cui tutto era lutto. Ma poi c'è stato il tempo in cui noi siamo risorti dal nostro stare fra ossi di seppia dove eravamo pasto per gli uccelli e pure i pigri ed i distratti ci hanno visto a noi...

Noi siamo i froci, siamo gli ebrei, palestinesi dell'intifada
siamo barboni lungo la strada siamo le zecche comuniste.
Noi, noi siamo anarchici noi siamo spastici
noi siamo quelli col cesso a parte, noi siamo brutti, sporchi ma buoni che detto in sintesi significa coglioni.
Noi siamo i negri, meridionali siamo gli autonomi dei centri sociali siamo l'elogio della pazzia siamo un errore di ortografia,
noi siamo i punti dopo le virgole, siamo drogati, zingari e zoccole.

C'è stato un tempo in cui noi eravamo cadaveri vivi c'è stato un tempo in cui, noi correvamo sempre restare fermi era vietato, pure i sassi stavano in divieto di sosta. Sua Santità Babbo Natale era ancora vestito di bianco e di rosso, c'è stato un tempo in cui ci aveva renne di lusso ai potenti portava regali ai servi carbone, ma poi c'è stato il tempo in cui noi siamo risorti dall'happy hour del megaraduno dell'indulgenza e i vampiri del sangue del santo ci hanno visto a noi...

Noi siamo i froci, siamo gli ebrei, palestinesi dell'intifada
siamo i barboni lungo la strada siamo le zecche comuniste.
Noi, noi siamo anarchici noi siamo spastici noi siamo quelli col cesso a parte, noi siamo brutti, sporchi ma buoni che detto in sintesi significa coglioni.
Noi siamo i negri, meridionali siamo gli autonomi dei centri sociali siamo l'elogio della pazzia siamo un errore di ortografia,
noi siamo i punti dopo le virgole, siamo drogati, zingari e zoccole.

C'è stato un tempo in cui noi eravamo cadaveri vivi, e la camorra e la mafia erano il meglio del made in italy, avevano ottenuto dal ministero una certificazione di qualità, criminalità organizzata però d'origine controllata. C'è stato un tempo in cui noi eravamo picciotti, ma poi è arrivato il tempo in cui noi siamo risorti dalla tranquillità del mare dove eravamo rugginosi relitti, e pure i tristi giornalisti fascisti ci hanno visto a noi...

Noi siamo i froci, siamo gli ebrei, palestinesi dell'intifada
siamo i barboni lungo la strada siamo le zecche comuniste.
Noi, noi siamo anarchici noi siamo spastici noi siamo quelli col cesso a parte, noi siamo brutti, sporchi ma buoni che detto in sintesi significa coglioni.
Noi siamo i negri, meridionali siamo gli autonomi dei centri sociali siamo l'elogio della pazzia siamo un errore di ortografia,
noi siamo i punti dopo le virgole, siamo drogati, zingari e zoccole.






martedì 1 marzo 2016

Istruzioni per piangere




Lasciando da parte le motivazioni, atteniamoci unicamente al corretto modo di piangere, intendendo per tale un pianto che non sconfini nello scandalo e tanto meno in un insulto al sorriso, data la loro parallela e goffa somiglianza.
Il pianto comune o normale consiste in una completa contrazione della faccia e in un suono spasmodico accompagnato da lacrime e da moccio, quest'ultimo nella fase finale, perché il pianto termina nel momento in cui ci si soffia energicamente il naso.
Per piangere occorre fissare l'immaginazione su se stessi, e se ciò risultasse impossibile perché è stata contratta l'abitudine di credere nel mondo esteriore, si ponga mente ad un'anatra ricoperta di formiche o a quei golfi dello stretto di Magellano “ove niun penetra giammai”. Una volta arrivato il pianto, ci si copra con dignità il volto usando entrambe le mani con la palma in dentro. I bambini piangeranno con la manica della giacchetta sulla faccia, e preferibilmente in un angolo della stanza. Durata media del pianto: tre minuti.

Cortazar, Storie di Cronopios e di Famas
  




Gli altri



Per due motivi noti di carattere biologico (il sesso e la nutrizione) e per diversi motivi meno noti, di carattere tra l’istintivo e il patologico, siamo costretti a sopportare l’esistenza, la vicinanza e perfino il contatto di essere contrari alla nostra ragione; questi esseri vengono genericamente chiamati gli altri.

J. Rodolfo Wilcock, Il reato di scrivere