domenica 30 ottobre 2016

Terremoti





Ci state chiedendo perché c'è così tanta oscillazione nel calcolo della magnitudo del terremoto. Prima 7,1, poi 6,1, poi 6.5... E già cominciano a diffondersi nuove teorie del complotto.
Allora chiariamo una volta per tutte:
Il processo di misurazione e localizzazione di un terremoto avviene in più fasi:
Fase 1- A 2 minuti da un evento sismico avviene una valutazione automatica, basata sui dati inviati dalle stazioni sismiche più vicine all’evento. In questa prima fase è possibile avere una prima stima della posizione dell’epicentro, della profondità e della magnitudo del terremoto.
Fase 2- A 5 minuti dal sisma si valutano i dati disponibili dai sismogrammi di tutte le stazioni della Rete Sismica Nazionale interessate dal terremoto. Questa seconda stima, sebbene ancora automatica, risulta essere più precisa della precedente.
Fase 3- Entro 30 minuti dall'evento (in media dopo circa 10-15 minuti), i sismologi della Sala Operativa di Monitoraggio Sismico valutano tutte le stime, analizzano i dati disponibili, individuano i tempi con cui le onde P ed S arrivano alle diverse stazioni. In questa terza fase la stima della magnitudo e la localizzazione non avvengono in modo automatico, ma sono elaborate dai sismologi in modo estremamente accurato. Solo a questo punto i dati e le stime precise vengono comunicati al Dipartimento della Protezione Civile.
La presenza di oscillazioni nel computo della magnitudo è dunque una conseguenza necessaria del fornire dati immediati (seppur ancora incompleti), in modo da poter lanciare immediatamente l'allarme e velocizzare al massimo le operazioni.
In momenti drammatici come quelli post-terremoto è fondamentale concentrare l'attenzione sui soccorsi ed evitare di creare confusione attraverso incorretta informazione. Avvelenare i canali di informazione tramite teorie complottiste non è solo sconsiderato, ma praticamente dannoso.
Per ulteriori domande: il sito dell'INGV ha una pagina FAQ in cui risponde alle domande più frequenti: https://goo.gl/v2eEnq



 








Atmosphere



Walk in silence,
Don’t walk away, in silence.
See the danger
Always danger
Endless talking
Life rebuilding
Don’t walk away.


Walk in silence,
Don’t turn away in silence.
Your confusion
My illusion
Worn like a mask of self-hate
Confronts and then dies.
Don’t walk away.

People like you find it easy,
Naked to see
Walking on air.
Hunting by the rivers,
Through the streets,
Every corner abandoned too soon
Set down with due care.
Don’t walk away, in silence,
Don’t walk away.








sabato 29 ottobre 2016

Evoluzione di un Paese / 2




Ieri notte era all’ordine del giorno dell’Assemblea generale dell’Onu un voto davvero importante: una risoluzione perché dal 2017 partano i negoziati per un Trattato internazionale che vieti le armi nucleari.
La risoluzione è stata approvata da 123 Paesi, 16 Stati si sono astenuti ma 37 Paesi hanno votato contro, tra cui l’Italia. In compagnia di quasi tutte le nazioni nucleari del mondo e tanti alleati degli Stati uniti che, come l’Italia, hanno sul proprio territorio ogive nucleari. Si badi, non armi atomiche vintage della “passata” Guerra fredda, ma rinnovati sistemi d’arma per le quali il Nobel della Pace Obama ha speso diversi miliardi di dollari: si chiamano bombe B61-12 e potranno essere montate sugli F35 che – a proposito di “costi della politica” – ci costano più di 15 miliardi di euro. I primi due F35 arriveranno nella base di Amendola l’8 novembre prossimo, il giorno delle presidenziali americane, e senza know how di attivazione: quello lo controllano dagli Usa.
Qui, nel ridente Belpaese, ce ne sono ben 70 di bombe atomiche, 20 a Ghedi e 50 ad Aviano.
Sono lontani i tempi in cui il Parlamento europeo chiedeva espressamente agli Stati Uniti di sbaraccare dal territorio europeo l’armamentario disseminato di circa 300 armi nucleari. Adesso se nazioni come Austria, Brasile, Irlanda, Messico, Sudafrica e Nigeria (primi firmatari della risoluzione votata all’Onu) propongono di avviare un trattato vincolante per mettere al bando le armi atomiche, l’Italia si sente in dovere di votare contro


Risultati della votazione:




Evoluzione di un Paese / 1






 
  






Stipendi





 

lunedì 24 ottobre 2016

Cosa indossiamo




L'angora usata per produrre capi d'abbigliamento pregiati, nasconde una terribile realtà. I conigli produttori, morbidi e molto sensibili, sono batuffoli bianchi che vengono brutalmente torturati per il loro manto. Mentre sono ancora perfettamente coscienti, gli viene letteralmente strappata la pelliccia. Una procedura da brividi, denunciata da tempo dall’associazione animalista tedesca Peta. Abbiamo scelto di non mostrare le immagini di un video girato di nascosto dal team di animalisti infiltrati all'interno di un allevamento: davvero troppo cruento. Ma la foto che pubblichiamo è già durissima.
Vi basterà sapere che ogni tre mesi tra grida di dolore e terrore gli animali vengono immobilizzati su delle assi di legno con le zampe legate e dopo la cruenta «tosatura» vengono scaraventati in minuscole, sporche e vuote gabbie senza nemmeno la compagnia vitale di altri conigli. Quando raggiungono un'età che varia tra i 2 e i 5 anni, quelli che sono sopravvissuti vengono appesi a testa in giù, le loro gole vengono tagliate e i loro corpi venduti.
I poveri conigli si dimenano con tutte le loro forze, finendo irrimediabilmente feriti dalle lame affilate mentre lottano disperatamente per fuggire. È da questa violenza che viene il 90% di maglioni, guanti, sciarpe e cappelli che contengono angora. Molte case di moda per fortuna hanno messo al bando l'uso di angora. Ma sono ancora tanti, troppi quelli che se ne servono.
Ognuno di noi può fare qualcosa per fermare questa barbarie: basta non comprare capi sporchi di sangue.
 
[fonte: Il Mattino]





venerdì 21 ottobre 2016

Obiezione




Nonostante l'interruzione volontaria di gravidanza (IVG) sia un diritto acquisito sin dal 1978 spesso alcuni fenomeni sembrano ostacolare questa libertà delle donne.
Il caso più lampante è l'obiezione di coscienza dei ginecologi, che per ragioni personali si rifiutano di praticare aborti che le donne ricercano volontariamente. Questo rende difficile per una donna riuscire a esercitare quel diritto all'aborto garantito dalla legge, che di fatto smette così di essere un diritto. Che diritto è, se non si è messi nelle condizioni di esercitarlo?
Il Consiglio d'Europa ha richiamato infatti l'Italia per la violazione del diritto all'interruzione volontaria di gravidanza, che limita le libertà femminili, e la causa è proprio l'alto numero di obiettori. Ma quanti sono, e come sono distribuiti sulla penisola, questi obiettori? Lo rende molto chiaro una mappa diffusa dal sito ufficiale di Internazionale






giovedì 20 ottobre 2016

Tempi andati




Provo un’intensa, ma non retriva, nostalgia per il tempo in cui c’erano i comunisti. Mi manca tutto, di quel tempo. Non posso fermare il tempo, ma il tempo può fermare me – e lo fa, mi ferma. Il desiderio di stare in un tempo abitabile, per quanto feroce, che mi viene tolto di sfoglia in sfoglia, come accade a tutti, crea in me uno sconcerto penoso, che è paragonabile a quello sconvolgimento con cui una civiltà orrenda accoglie il ragazzo cresciuto dai lupi in una foresta, comminandogli un’educazione e urbanizzandolo, cioè inserendolo in un contesto che non comprende e in cui non si inserirà mai. Così vivo io oggi. Nulla mi può tuttavia smuovere dalla stabile certezza che ovunque io sia, davvero, sono: questo è il rifugio e questo l’assalto al tempo, che è sempre devastato e vile, mentre il fatto che sono, anche quando non esisto, non è né devastato né vile, intuisco che è glorioso, so che è stabile e è ovunque sempre. Mentre salutavo il nuovo tempo tacciandolo di caratteristiche infami e reagendo con l’astio, poiché dell’amore non sapevo nulla, ora non sono in grado di enunciare alcun benvenuto, se non nel momento metafisico, che ora mi dà pena alla parola, il che, come sempre, è un dato per nulla permanente. Sono le certezze solide ad appartenerci, poiché a esse apparteniamo: ci trascinano, ci scuotono, ci percuotono nell’ovunque sempre: ne siamo trasportati. A un tempo che mi disarciona dalla possibilità di appoggiarmi continuativamente a un testo, che sia da scrivere o meno, è possibile per me sperimentare cosa significhi spogliarmi – non dico restare nudo, perché non ne sono capace ancora, tuttavia esfoliarmi sì: è questa la sensazione. E’ dolorosa come se un parto coincidesse con il premorte. Il fatto di riuscire molto lucidamente a valutare gli altri e il mondo che mi circonda, ovvero di avvicinarmi quanto più possibile al momento presente, poiché non esiste altro momento se non il presente, mette in luce che la nostalgia di un tempo comunista fornisce soltanto l’occasione per levarsi di dosso un ulteriore strato epidermico. Questa finzione per cui la pelle si pensa suddividere interno ed esterno mi è insopportabile, la avverto innaturale. Tale avvertimento è l’inizio di qualunque cura. E’ solo vivendo a fondo, quanto si può cioè vivere e non quanto si dovrebbe farlo, ed è solo apprendendo cosa significhi “il fondo”, che l’uomo si cura, si prende cura di se stesso, magari scalmanandosi, magari tacendo, magari scrivendo, parlando, facendo la nanna. Che “è che è” resta una suprema verità, cioè il fondamentale del vivibile in ogni forma, compresa la mia, la nostra, ed è alla mano, è davvero vivibile. Spesso il suo inizio è il perturbante. Spesso la sua amarezza è la clownerie che si vive. Con odio o senza odio, con amore o senza amore (chi di noi ha davvero conosciuto cosa è amore?), con rabbia e livore o esercitando la pietà fino ai suoi insondabili residui, noi procediamo mentre siamo proceduti e la grande paura è il maestro che ci accompagna. Pare che la specie umana abbia scelto il dolore come mezzo di conoscenza e sviluppo, di avanzamento verso se stessa, verso il residuo insondabile, verso l’insondabilità. Ciò per dire, anche, che quell’uomo che non ho mai apprezzato, era ed è apprezzabile, dico Dario Fo, cioè la mia infanzia, la rabbia della mia giovinezza…

Giuseppe Genna,
(Posted in Senza categoria and tagged Dario Fo, Mistero buffo, on 13 ottobre 2016)






Occupati








mercoledì 19 ottobre 2016

L'aria felice




Fatema, la bambina rom, ha scritto:
è bello
vedere l’aria felice

Chandra Livia Candiani





lunedì 17 ottobre 2016

La vita nuova




La vita nuova
arriva taciturna
dentro la vecchia vita
arriva come una morte
uno schianto
qualcuno che spintona cosi forte
un crollo.
E’ una scrittura tanto precisa
e netta da non lasciare dubbi
né sfumature di senso eppure
non dà direzioni né mete.
La vita nuova irrompe
come un vecchio che cade
sul ghiaccio, un pensiero
davanti a un muro, la
sirena di un’ambulanza.
Non ci sono feriti
né annunci di sciagura
solo noi da convincere
a lasciar perdere il miraggio
di una via rettilinea, di un
orizzonte, lasciarsi curvare,
piegare alla tenerezza
delle anse del destino.
La vita nuova
è come un grande tuono
sbriciolato
poi a poco a poco
l’erba si china
sotto la pioggia
la prende
la beve.

Chandra Livia Candiani




Dumbo








sabato 15 ottobre 2016

venerdì 14 ottobre 2016

sabato 8 ottobre 2016

I haven't told my garden yet




Un giorno di giugno di qualche anno fa un uomo che diceva di amarmi osservò, con tono di rimprovero, che zoppicavo. Non me n’ero accorta. Era una zoppia quasi impercettibile, poco più di una disarmonia nel passo, un ritmo sbagliato. A lungo non se ne comprese il motivo. La sensazione era che mi si stesse seccando la gamba destra, come talvolta capita che su un albero secchi un ramo. Stavo io stessa appassendo. Morire non era più una speculazione intellettuale, stava realmente accadendo. Molto lentamente e prima del previsto. Lasciandomi forse il tempo di scrivere in presa diretta del giardiniere di fronte alla morte.
(…)
Compresi che non avrei realizzato il mio desiderio di morire sulle mie gambe. Qualcosa che ero avvezza a considerare mio sacrosanto diritto. Qualcosa di cui, per anni, ero stata fiera in anticipo. Troppo anticipo.
(...)
Cos’è cambiato nel mio rapporto col giardino?
È cresciuta l’empatia. La consapevolezza che, non diversamente da una pianta, io pure subisco i danni delle intemperie, posso seccare, appassire, perdere pezzi, e soprattutto: non muovermi come vorrei. Lungi dal vedermi come colei da cui dipende il benessere del giardino, mi so esposta alle contingenze, vulnerabile. Se il giardino era stato il luogo dove contemplare metamorfosi e impermanenza, adesso l’accelerazione della corrente mi costringe a rendermi conto di esservi io stessa immersa. Non sono più un osservatore esterno, qualcuno che dispone e amministra. Mi trovo io stessa in balia.
(...)
Non sono più la stessa persona. Alla diversa andatura, alla lentezza nel camminare, la circospezione con cui procedo di passo in passo, la cautela con cui considero se valga davvero la pena di muoversi o no, corrisponde una percezione nuova del mondo. Credo che adesso non proverei più lo stesso stupore misto a diffidenza di fronte alle opere di un’artista scandinava che, anni fa, venne a trovarmi nel mio podere. Mentre passeggiavamo, non faceva che chinarsi per raccattare frutti rinsecchiti, foglie appassite, baccelli anneriti dalle intemperie. (...) C’è voluto tempo per cominciare a capire. Non immaginavo tuttavia che, ben presto, mi sarei percepita anch’io come quelle povere cose raccattate, al punto d’incontro tra due energie: conservazione e distruzione. Organismi in decadenza, in bilico tra essere e non essere. Chissà che un momento prima di venir meno non si manifestino, con intensità forse acuita, se non vera e propria bellezza, un pathos, un’espressività insospettati. Quasi che, rendendo l’anima a Dio, le cose sprigionassero, per un attimo e quell’attimo soltanto, una qualità che passa inosservata quando il corpo, godendo perfetta salute, è troppo turgido, troppo opaco, troppo spesso. Troppo materiale.
Adesso che mi sento come uno di quegli scarti, provo una serenità diversa, una serenità per la prima volta vera e profonda. Sprigiona adesso che il corpo ha perso un poco del suo spessore.
La leggerezza interiore nasce forse dal sentirmi libera dalla zavorra terribile del futuro, indifferente al cruccio del passato. Immersa nell’attimo presente, come prima mai era accaduto, faccio finalmente parte del giardino, di quel mondo fluttuante di trasformazioni continue.

 
  I haven't told my garden yet -
Lest that should conquer me.
I haven't quite the strength now
To break it to the Bee -

I will not name it in the street
For shops would stare at me -
That one so shy - so ignorant
Should have the face to die.

The hillsides must not know it -
Where I have rambled so -
Nor tell the loving forest
The day that I shall go -

Nor lisp it at the table -
Nor heedless by the way
Hint that within the Riddle
One will walk today -

Emily Dickinson






 

Warsaw
































































venerdì 7 ottobre 2016

Bara onda




Perché non ci sono posti dove andare
ma solo gente da salvare.
Ci mancano lenzuola
non corpi.
Ci manca un senso
non confini.
Vittime morte di aiuti
che sbarcano nessun lunario.
Dedico questo momento alla deriva.
E alla bara onda
che li affonda.

Alessandro Bergonzoni






giovedì 6 ottobre 2016

domenica 2 ottobre 2016

Profezia




(…) inizierà allora per tutti (...) ma soprattutto per tuo padre e per te, un tempo veramente duro, per tuo padre perché oscillerà sempre tra dolore e paranoia, con rarissimi momenti di lucidità senza tormento, e per te perché perseverando nell’intento tuo di dargli conforto continuerai a fallire e a vederlo soffrire, anche se in uno dei rarissimi momenti di pace senza dolore né paranoia farai in tempo ad ammirare per l’ultima volta la sua fiammeggiante intelligenza, allorché lo sorprenderai verso le undici di mattina a guardare un programma televisivo su Rete 4, di quelli che egli non ha mai guardato in vita sua, e gli chiederai «perché guardi questo programma che non ti piace, padre? Perché non approfitti di questo momento di pace per finire il modellino del Pen Duick IV, dato che ti manca veramente poco, o sennò per stampare altre foto della mamma, o per lavorare un po’ ai filmini di quando eravate giovani, o per scrivere, o per fare una delle tante altre cose che ti piace fare?», e la sua risposta sarà memorabile, Alessandro, preparati a ricordarla per darne testimonianza agli altri, poiché io so e ti dico che egli ti fisserà con quel suo sguardo reso ancor più sottile dalla malattia, e ti dirà «figliolo, io guardo questi programmi di merda per illudermi che la vita sia davvero così misera; che essa non sia amore, e bellezza, e ingegno, e sfide, e conquiste, e natura, e mare e vento e barche a vela, ma una squallida faccenda di rancori, pettegolezzi, paura e puzza di chiuso, come la riducono qua. Così, capisci, mi viene più naturale lasciarla», e si rimetterà a guardare Rete 4, e quelle sue parole ti trafiggeranno, poiché ti renderai conto di non aver mai pensato a quanto possa essere utile, per chi sta lasciando questo mondo, assistere a una sua rappresentazione così miserabile, e che di quei programmi allora si può dire che svolgano la funzione (del tutto involontaria, naturalmente, e ben lungi anche solo dallo sfiorare la mente di coloro che – siano essi maledetti, a proposito – quei programmi scrivono e producono e sfruttano commercialmente) la funzione dicevo di exit strategy per i malati terminali, atta a rendere meno dolorosa la loro dipartita e farne una misericordiosa dissolvenza (...)
 
Alessandro Veronesi, Profezia