lunedì 31 marzo 2014

Sat sadly




Then she drew the curtains down
And said, "When will you ever learn
That what happens there beyond the glass
Is simply none of your concern?
God has given you but one heart
You are not a home for the hearts of your brothers

And God does not care for your benevolence
Anymore than he cares for the lack of it in others
Nor does he care for you to sit
At windows in judgment of the world he created
While sorrows pile up around you
Ugly, useless, and over-inflated"

At which she turned her head away
Great tears leaping from her eyes
I could not wipe the smile from my face
As I sat sadly by her side



Animali da reddito



Le mucche "da latte" sono inseminate artificialmente per produrre quanto più latte possibile. Dall'età di circa due anni, trascorrono in gravidanza nove mesi ogni anno. Poco dopo la nascita, i vitelli sono strappati alle madri (provocando in entrambi un trauma, le mucche piangono per giorni), perché non ne bevano il latte, rinchiusi in minuscoli box larghi poche decine di cm in cui non hanno nemmeno lo spazio per coricarsi, e quindi neanche la possibilità di dormire profondamente, alimentati con una dieta inadeguata apposta per renderli anemici e far sì che la loro carne sia bianca e tenera (come piace ai consumatori) e infine mandati al macello. 
La mucca verrà quindi munta per mesi, durante i quali sarà costretta a produrre una quantità di latte pari a 10 volte l'ammontare di quello che sarebbe stato necessario, in natura, per nutrire il vitello. 
Per aumentare la produzione di latte, la mucca è alimentata con proteine molto concentrate, ma neppure queste spesso sono sufficienti, tanto da provocare lacerazione dei tessuti per soddisfare la continua richiesta di latte. Ciò provoca una condizione chiamata acidosi, che può rendere zoppo l'animale e ciò capita ogni anno al 25% delle mucche sfruttate nei caseifici. 
A circa cinque o sei anni d'età, ormai esausta e sfruttata al massimo, la mucca verrà macellata. La durata della sua vita, in natura, sarebbe stata di circa 20 anni, e può arrivare anche a 40.
Negli ultimi anni, le cose sono andate peggiorando, e una mucca viene "consumata", nel vero senso della parola, in soli 2-3 anni.
Le mucche sfruttate per il latte, al momento della macellazione sono così esauste  che non riescono nemmeno a stare in piedi: la mucca, massacrata da ritmi produttivi forzati oltre ogni limite e letteralmente consumata, non riesce ad alzarsi e rimane accasciata. Per questo viene definita “mucca a terra”. La sua sofferenza, però, non è presa in considerazione: deve arrivare viva a destinazione, perché se muore prima di arrivare al macello non si potrà ricavarne alcun guadagno.
Gli animali "da reddito” si trasportano al macello tramite camion, su cui devono salire con le loro gambe.  Perché la vendita della carne avvenga, devono arrivare vivi, in qualsiasi condizione ma vivi. Nonostante le normative vietino che siano spostati animali malati, o feriti - non in grado di deambulare autonomamente, quindi non idonei al trasporto (per legge, in fase di carico e scarico gli animali non devono essere mai  mantenuti in sospensione con mezzi meccanici, sollevati o tirati per la testa, le corna, le zampe, la coda o il vello), la legge viene contravvenuta e  le “mucche a terra”, e non solo loro, spesso vengono trascinate con una catena o una fune legate a una o a due zampe,  spinte sul camion con mezzi meccanici come pale di trattori,  sollevate e scaricate, dopo averle imbracate sommariamente, nel camion, con l’ausilio di elevatori, verricelli o mezzi meccanici simili. Vere e proprie torture che non di rado vengono accompagnate dall’uso di bastoni o pungoli elettrici utilizzati in varie parti del corpo, incluse le zone genitale e anale.

La LAV ha denunciato questo orrore già nel 2007, diffondendo le immagini di un’investigazione di Animals’ Angels durata mesi.





Amore


All’università, ebbi una relazione con una giovane russa, allieva come me del Corso di matematica. Un giorno essa mi chiese: quanto mi ami? E io dissi “tanto” e spalancai le braccia. Lei disse che “tanto” era un’espressione numericamente ambigua e che io avrei dovuto portarle una dimostrazione più precisa della grandezza del mio amore.
Io le portai la seguente: “Il mio amore eterno per te sarebbe esprimibile solo con una apertura delle mie braccia pari alla circonferenza del mondo al quadrato.” 
Essa ci pensò un pò su e poi mi dimostrò che la frase poteva essere matematicamente espressa così: A e (amore eterno) = amc^2 (Apertura bracciale Mondo Circonferenza al quadrato). Ma poiché le due “a” si potevano cancellare, in quanto termini uguali dell’equazione, restava e = mc^2 Ovvero la formula della relatività.
Il mio amore non era quindi né eterno né grande, ma del tutto relativo nello spazio e nel tempo.
Ciò dimostrato, essa mi lasciò.

Stefano Benni, Terra! 


domenica 30 marzo 2014

Fede


Dite quel che volete del sublime miracolo di una fede senza dubbi, ma io continuerò a ritenerla una cosa assolutamente spaventosa e vile.

Kurt Vonnegut, Madre Notte



Decisioni


Chi lo sa che cosa ho voglia di fare? Chi lo sa che cosa ha voglia di fare in genere la gente? Come si fa a esserne sicuri? Non è tutta una questione di chimica cerebrale, di segnali che vanno avanti e indietro, di energia elettrica nella corteccia? Come si fa a sapere se una cosa è esattamente ciò che si vuole fare, oppure soltanto una qualche specie di impulso nervoso nel cervello? Una minuscola attività secondaria ha luogo da qualche parte, in un punto privo di importanza dentro uno degli emisferi cerebrali, ed ecco che di punto in bianco mi viene voglia di andare nel Montana, oppure no. Come faccio a sapere se ho veramente voglia di andarci e non sono soltanto un po' di neuroni che fanno fuoco, o qualcosa del genere? Magari capita soltanto un lampo, per caso, nel midollo e di punto in bianco eccomi lí nel Montana, dove scopro che in realtà non avevo nessunissima voglia di andarci. Se non sono in grado di controllare quello che mi succede nel cervello, come faccio a essere sicuro di quello che avrò voglia di fare fra dieci secondi, per non parlare di quest'estate e del Montana? È tutta questione di attività cerebrale, per cui non si sa che cosa dipenda dalla propria persona e che cosa da un neurone che ha appena fatto fuoco o magari cilecca.


Don De Lillo, Rumore bianco




venerdì 28 marzo 2014

Acqua



Water Bottle Boycott





giovedì 27 marzo 2014

Tango











Rumore bianco



Siamo nell’età della pietra: conosciamo tutte le cose che sono state prodotte da secoli di progresso, ma che cosa sappiamo fare per rendere più agevole la vita di questa età? Sappiamo forse fare un frigorifero? Sappiamo anche solo spiegare come funziona? Che cos’è l’elettricità? Che cos’è la luce? Sono cose che sperimentiamo ogni giorno della nostra vita, ma a che cosa serve tutto ciò se ci troviamo ricacciati indietro nel tempo e non siamo nemmeno in grado di spiegare alla gente i principi di base, per non parlare di fare effettivamente qualcosa che possa migliorare la situazione. Indicami una sola cosa che saresti capace di fare. Saresti capace di costruire un semplice fiammifero di legno, che produca fiamma strofinandolo su una roccia? Noi siamo convinti di essere tanto grandi e moderni. Atterraggi sulla luna, cuori artificiali. Ma se fossimo coinvolti in un ribaltamento temporale e ci trovassimo a faccia a faccia con gli antichi greci?

Don De Lillo, Rumore bianco


Famiglia



La famiglia è la culla della disinformazione mondiale. Nella vita di famiglia dev'esserci qualcosa che genera gli errori di fatto. L'eccesso di vicinanza, il rumore e il calore dell'essere. Forse anche qualcosa di piú profondo, come il bisogno di sopravvivere. Murray sostiene che siamo creature fragili, circondate da un mondo di fatti ostili. I fatti minacciano la nostra felicità e sicurezza. Piú a fondo investighiamo nella natura delle cose, piú incerta può sembrar diventare la nostra struttura. Il processo famigliare tende a escludere il mondo. Piccoli errori diventano capitali, le finzioni proliferano. Io gli replico che ignoranza e confusione non possono essere le forze motrici che stanno dietro la solidarietà famigliare. Che idea, che sovversione! Lui mi chiede perché mai, allora, le unità famigliari piú forti si trovano nelle società meno sviluppate. Il non sapere è lo strumento della sopravvivenza, sostiene. Magia e superstizione si ossificano a diventare la poderosa ortodossia di clan. La famiglia è piú forte là dove è piú probabile che la realtà oggettiva venga malintesa. Che teoria spietata, dico. Ma lui insiste che è vera. 

Don De Lillo, Rumore bianco


mercoledì 19 marzo 2014

Silenzio / 2







Certe sere



Sappi che tutte le strade, anche le più sole 

hanno un vento che le accompagna 

 

... che preferisco non imparar la rotta
per ricordarmi il mare







venerdì 14 marzo 2014

Murmuration / 2








Colonie feline


LA TUTELA DELLE COLONIE FELINE


La Dichiarazione Universale dei Diritti degli Animali, proclamata il 15 ottobre 1978 presso la sede dell’UNESCO a Parigi e la Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia di Strasburgo del 1987, riconoscono alle specie animali non umane diritto ad un’esistenza compatibile con le proprie caratteristiche biologiche ed etologiche.
I gatti sono animali sociali che si muovono liberamente su di un determinato territorio.
La territorialità (già sancita dalla Legge 281/91) è una caratteristica etologica del gatto che esclude il randagismo e riconosce la specificità della specie felina di avere un riferimento territoriale – o habitat – dove svolgere le sue funzione vitali (cibo, rapporti sociali, cure, riposo, ecc.).
Con riferimento alla tutela dei gatti che vivono in libertà, la Legge n. 281/91 – Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo, all’art. 2 stabilisce, fra le altre cose, che:

E’ vietato a chiunque maltrattare i gatti che vivono in liberta’.
E’ vietato allontanarli dai luoghi nei quali trovano abitualmente rifugio, cibo e protezione
I gatti che vivono in liberta’ sono sterilizzati dall’autorita’ sanitaria competente per territorio e riammessi nel loro gruppo.
I gatti in liberta’ possono essere soppressi soltanto se gravemente malati o incurabili.
Gli enti e le associazioni protezioniste possono, d’intesa con le unita’ sanitarie locali, avere in gestione le colonie di gatti che vivono in liberta’, assicurandone la cura della salute e le condizioni di sopravvivenza

(Legge 281/91)
- Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da 4 mesi a due anni
(art. 544-bis codice penale)
- Il loro maltrattamento è perseguito penalmente anche con la reclusione da tre mesi a 18 mesi o la multa da 5.000 a 30.000 Euro
(art. 544-ter codice penale) 



Carità cristiana




Le colonie feline sono considerate patrimonio pubblico e l’orientamento giurisprudenziale prevalente ne tutela l’incolumità “Il legislatore ha ritenuto che i gatti, animali sociali che si muovono liberamente su un determinato territorio (radunandosi spesso in gruppi denominati “colonie feline”), pur vivendo in libertà, sono stanziali e frequentano abitualmente lo stesso luogo pubblico o privato, creandosi così un loro “habitat” ovvero quel territorio o porzione di esso, pubblico o privato, urbano e non, edificato e non, nel quale vivono stabilmente. Nessuna norma di legge, né statale né regionale, proibisce di alimentare gatti randagi nel loro habitat cioè nei luoghi pubblici e privati in cui trovano rifugio. Secondo detta normativa i gatti che stazionano e/o vengono alimentati nelle zone condominiali non possono essere allontanati o catturati per nessun motivo, a meno che non si tratti di interventi sanitari o di soccorso motivati (Legge 261/91).” 





lunedì 10 marzo 2014

Gli imprecisi


Persone fastidiose

Quali sono le persone più fastidiose del mondo? È una cosa che mi chiedo spesso quando faccio la doccia. C’è così tanto corpo da lavare e così poche mani a disposizione, che bisogna pur trovare qualcosa a cui pensare. Allora quali sono? I gradassi? I bugiardi? Gli invadenti? I conformisti? Gli artificiosi? Gli opportunisti? I vanitosi? I petulanti? Gli esibizionisti? I rumorosi? Gli sbaciucchioni? Gli imprecisi? Effettivamente gli imprecisi sono abbastanza fastidiosi, ma c’è una categoria di persone di gran lunga più fastidiosa degli imprecisi: gli imprecisi che pensano di essere precisi. Al solo pensiero mi viene da insaponarmi gli occhi.
In realtà i semplici imprecisi non sono poi così fastidiosi, basta solo lasciarsi trascinare dalla loro imprecisione invece che subirla. Almeno con me funziona. Io vivo seguendo una rigida ortoprassi: sveglia alle sette e un quarto, colazione con Prima Pagina, letto da rifare dopo colazione ma prima della doccia, doccia, pranzo a mezzogiorno, orzo alle cinque, cena alle otto e mezza ascoltando Otto e Mezzo, sostituzione pantaloni dopo soggiorni in luoghi pubblici, lavaggio mani a contatto con infissi, cibi e corpi (miei o altrui), libri suddivisi secondo la classificazione Dewey, un anticalcare per l’acciaio e uno per la ceramica, ingresso consentito solo a Micol, non cuocere il vitello nel latte della madre, Cibalgina, ma quando sono in compagnia di una persona imprecisa tutto questo reticolo di regole svanisce e vivere diventa facile come lavarsi un avambraccio (gli avambracci sono in assoluto la cosa più facile da lavare, così ben in vista e straordinariamente privi di buchi). Le persone imprecise riescono a trasmettermi un po’ della loro confidenza col mondo e a farmi sentire come se tutto fosse sotto controllo, non perché qualcosa sia effettivamente sotto controllo, ma perché non c’è niente che valga la pena controllare. In questo risiede l’intrinseca superiorità degli imprecisi sui precisi: i precisi provano a dare ordine al caos senza riuscirci, gli imprecisi escono a bere.
A volte mi sforzo anch’io di essere così, per esempio quando lascio il libro sul bracciolo del divano: mi piace la sensazione di aver lasciato una cosa così sfacciatamente a portata di mano, come se davvero non avesse conseguenze. Mi metto a fare altro e mi sento già più libero, mi godo ogni secondo di quella piccola imprecisione, la soppeso mentalmente e di tanto in tanto do un’occhiata per verificare che sia tutto esattamente fuori posto come l’ho lasciato. Dopo cinque minuti il libro è al suo posto sulla mensola.
Quindi alla fine gli imprecisi vanno bene, invece gli imprecisi che si credono precisi sono quanto di più odioso sia mai apparso sulla Terra dopo il gas nervino e l’esultanza dopo il gol.

Torni domani dopo pranzo e vediamo che si può fare.

Domani dopo pranzo?

Sì.

“Dopo pranzo” nel senso di “subito dopo pranzo” o “molto dopo pranzo”?

Un po’ dopo.

Un’ora?

Più o meno.

Mezz’ora?

Perfetto.

Quindi mezz’ora dopo pranzo.

Sì.

E, scusi, a che ora pranza lei?

All’una precisa.

“Precisa”, che parola ambiziosa! Torno a casa, mi tolgo le scarpe, ripongo le scarpe nella scarpiera, prendo le pantofole, cambio i pantaloni, mi lavo le mani, punto la sveglia all’una meno un quarto, guardo la posta, leggo il Corriere, mi indigno, mi lavo le mani, pranzo, mi lavo le mani, mi lavo i denti, spengo la sveglia prima che suoni, ripongo le pantofole, prendo le scarpe dalla scarpiera e esco di casa. Arrivo con mezz’ora d’anticipo, giusto in tempo per fare qualche giro intorno all’isolato, e quando è l’una e mezza in punto m’incammino verso la sedicente persona precisa, arrivando con tre minuti di studiato ritardo per non dare l’impressione di essere stato tutto il tempo a pensare a lei.
La trovo che mangia un panino con la frittata.

Le avevo detto di venire dopo pranzo!

(http://incomaemeglio.blogspot.com/)






venerdì 7 marzo 2014

Arabeschi


Appartengo alla minoranza silenziosa. Sono di quei pochi che non hanno più nulla da dire e aspettano. Che cosa? Che tutto si chiarisca? L'età mi ha portato la certezza che niente si può chiarire: in questo paese che amo non esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro verità, noi ne abbiamo infinite versioni. Le cause? Lascio agli storici, ai sociologi, agli psicanalisti, alle tavole rotonde il compito di indicarci le cause, io ne subisco gli effetti. E con me pochi altri: perché quasi tutti hanno una soluzione da proporci: la loro verità, cioè qualcosa che non contrasti i loro interessi. Alla tavola rotonda bisognerà anche invitare uno storico dell'arte per fargli dire quale influenza può avere avuto il barocco sulla nostra psicologia. In Italia infatti la linea più breve tra due punti è l'arabesco. Viviamo in una rete d'arabeschi. 

(1972)


mercoledì 5 marzo 2014

Desert Breath



Desert Breath è un’installazione realizzata nel 1997 da tre artisti, Danae Stratou, Alexandra Stratou and Stella Constantinides, che, come si legge nel loro sito, hanno voluto celebrare in questo modo il deserto come “stato e paesaggio mentale”.  E che recentemente è ritornata in auge perché ripresa e visibile su Google Maps.
A distanza di quasi 17 anni, Desert Breath esiste ancora. Nell’idea del suo creatore, l’opera deve subire la disintegrazione lenta da parte degli agenti atmosferici, così da diventare uno strumento per ricordare il trascorrere inesorabile del tempo.



La costruzione di Desert Breath ha richiesto lo spostamento di quasi 8 mila metri cubi di sabbia, in modo da formare precisi volumi conici positivi e negativi. I coni disposti a spirale su di una superficie di 10 mila metri quadrati, posti nel deserto del Sahara orientale, al confine tra il Mar Rosso e l’Egitto, formano due spirali ad incastro che si muovono verso l’esterno partendo da un centro comune, con una differenza di fase di 180° gradi nella stessa direzione di rotazione. Al centro è posto una grande vasca dal diametro di 30 metri, la quale normalmente è ripiena d’acqua fino al bordo.



To view Desert Breath on Google Earth
go to coordinates: 27°22'54.59"N, 33°37'48.46"E




Macelli


Ci sarebbero meno bambini martiri se ci fossero meno animali torturati, meno vagoni piombati che trasportano alla morte le vittime di qualsiasi dittatura, se non avessimo fatto l'abitudine ai furgoni dove le bestie agonizzano senza cibo e senz'acqua dirette al macello.

Marguerite Yourcenar



lunedì 3 marzo 2014

L'invenzione della solitudine



Ciascun libro è un’immagine di solitudine, un oggetto concreto che si può prendere, riporre, aprire e chiudere, e le sue parole rappresentano molti mesi, se non molti anni, della solitudine di un individuo, sicché a ogni parola che leggiamo in un libro potremmo dire che siamo di fronte a una particella di quella solitudine. Un uomo solo è seduto in una stanza e scrive. Che parli di isolamento o di compagnia, di amicizia, il libro è necessariamente generato da una solitudine 

Paul AusterL’invenzione della solitudine


sabato 1 marzo 2014

Le regole del Gatto



PORTE:
Impedire ogni porta chiusa.
Per ottenere l’apertura della porta: stare in piedi sulle zampe posteriori e martellare con le zampe anteriori. Una volta che la porta è aperta, non è necessario usarla.
Dopo aver fatto aprire una porta che dà all'esterno, restare in piedi a metà strada tra dentro e fuori e pensare a cose diverse. Importante soprattutto quando fa freddo, pioggia, neve, o è tempo di zanzare.

BAGNI:
Accompagna sempre gli ospiti al bagno.
Non è necessario fare nulla. Basta sedersi e guardare.

SEDIE E TAPPETI:
Se devi vomitare, sforzati di arrivare a una sedia. Se non è possibile arriva almeno a un tappeto orientale. Se non c'è tappeto orientale, vomita sulla scopa. Quando vomiti sul tappeto, assicurati di eseguire il backup alla giusta distanza (calcola un piede umano scalzo)

AIUTARE !!!
Se uno dei tuoi umani è impegnato in qualche attività e l'altro è inattivo, stare con quello occupato. Qusto si chiama 'aiutare' …Di seguito sono riportate le regole relative

Umano che cucina
sedersi dietro il tallone sinistro del cuoco. Non potrai essere visto e hai maggiori possibilità di essere calpestato e quindi preso in braccio e consolato

Umano che legge
infilarsi possibilmente sotto il mento, tra gli occhi e il libro, a meno che non ti possa sdraiare su tutto il libro

Umano che sbriga lavoro di ufficio
sdraiarsi sul lavoro da eseguire nel modo ottimale, in modo da oscurare la maggior parte del lavoro, o almeno, pretendere di dormire, ma ogni tanto allungare una zampa e buttar giù la matita o la penna.

Umani impegnati a pagare le bollette o che lavorano sulle imposte sul reddito o che scrivono auguri di Natale
Tenere a mente l'obiettivo: bisogna aiutare!
In primo luogo, sedersi sulla carta in lavorazione. Se sloggiato, guardare tristemente dal lato del tavolo. Quando l'attività procede bene, rotolarsi sulle carte, disperdendole al meglio delle capacità. Se di nuovo sloggiato, spingere giù dal tavolo penne, matite e gomme, preferibilmente una alla volta.

Umano con il giornale aperto
assicurati di saltare sul retro del foglio. Gli esseri umani lo adorano

Umano impegnato al computer
saltare sulla scrivania, camminare su tutta la tastiera, scagliarsi verso il puntatore del mouse sullo schermo e quindi accoccolarsi in grembo e tra le braccia, per aiutarlo a digitare meglio

CAMMINARE:
Sfrecciare in modo rapido e il più vicino possibile davanti all’umano, specialmente
• sulle scale,
• quando ha qualcosa in braccio,
• al buio, e
• appena alzato la mattina.
Aiuterà la sua capacità di coordinamento.

DORMIRE:
dormirgli/le sempre sopra perché non possa muoversi

LETTIERA:
Quando si usa la lettiera, assicurarsi di calciare i sassetti il più lontano possibile dalla cassetta.
Gli umani amano la sensazione dei sassetti per gatti tra le dita dei piedi.

NASCONDIGLI:
Ogni tanto, nascondersi in un luogo dove gli umani non possono trovarti.
Stare lì almeno per tre o quattro ore...
Il pensiero che tu sia scappato o ti sia perduto li porterà al panico totale (gli piace tanto!) .
Una volta ricomparso, gli umani ti ricopriranno di amore e baci e probabilmente otterrai dei bocconcini.