lunedì 28 aprile 2014

Happy Birthday!












Crocevia



Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d'avere: l'estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t'aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.  Marco entra in una città; vede qualcuno in una piazza vivere una vita o un istante che potevano essere suoi; al posto di quell'uomo ora avrebbe potuto esserci lui se si fosse fermato nel tempo tanto tempo prima, oppure se tanto tempo prima ad un crocevia invece di prendere una strada avesse preso quella opposta e dopo un lungo giro fosse venuto a trovarsi al posto di quell'uomo in quella piazza. Ormai, da quel suo passato vero e ipotetico, lui è escluso; non può fermarsi; deve proseguire fino a un'altra città dove lo aspetta un altro suo passato, o qualcosa che forse era stato un suo possibile futuro e ora è il presente di qualcun altro. I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi.

Calvino,  Le città invisibili



sabato 26 aprile 2014

Intervallo







Santi







Buenos Aires 23 febbraio 1999


Sig Giovanni Paolo II

Ci è costato diversi giorni assimilare la richiesta di perdono che Lei, Sig. Giovanni Paolo II, ha inoltrato in favore del responsabile di genocidio Pinochet.

Ci rivolgiamo a Lei come cittadino comune, perchè ci sembra aberrante che dalla sua poltrona di Papa in Vaticano, senza conoscere, senza avere sofferto sulla sua pelle la tortura con scariche elettriche, le mutilazioni e le violenze sessuali, abbia il coraggio di chiedere, in nome di Gesù Cristo, clemenza per l’assassino Pinochet.

Gesù è stato crocifisso e la sua carne è stata lacerata dai Giuda come Lei che oggi difende gli assassini.

Sig. Giovanni Paolo II, nessuna madre del Terzo Mondo che ha dato alla luce, allattato e curato con amore un figlio che è stato mutilato dalle dittature di Pinochet, Videla, Banzer, Stroessner, accetterà con rassegnazione la sua richiesta di clemenza.

Noi Madri ci siamo incontrate con Lei in tre occasioni, ma Lei non ha impedito i massacri, non ha alzato la voce in difesa delle nostre migliaia di figli durante quegli anni di terrore.

Adesso non abbiamo più dubbi su da quale parte sta Lei, ma sappia che malgrado il suo potere immenso, non potrà arrivare nè a Dio nè a Gesù.

Molti dei nostri figli si sono ispirati a Gesù nel loro impegno per il popolo.

Noi Membri dell’Associazione delle Madri di Plaza de Mayo, attraverso una preghiera immensa che arrivera’ al mondo, chiediamo a Dio che non perdoni Lei, Sig. Giovanni Paolo II, perchè Lei denigra la Chiesa del popolo che soffre. Lo facciamo in nome dei milioni di esseri umani che morirono e continuano a morire ad opera degli assassini che Lei difende e sostiene.

DICIAMO: SIGNORE NON PERDONARE GIOVANNI PAOLO II

Associazione Madri di Plaza de Mayo 







Body paint


































giovedì 24 aprile 2014

Anima


L’anima non è mai amata come il corpo, al massimo - lodata.
Il corpo, lo si ama con mille anime.
Chi mai s’è dannato per un’anima?
E anche se qualcuno lo volesse, sarebbe impossibile:
amare un’anima fino alla dannazione significa essere già angeli

Marina Cvetaeva






domenica 20 aprile 2014

Uno



UNO NON VALE UNO

Come molti avranno notato, oggi va di moda la democrazia, e va di moda nel particolare significato che questa parola ha qui e ora, dove “ora” è il 208 dopo John Stuart Mill e “qui” è internet. Questo significato, in modo molto approssimativo, può essere così riassunto: uno vale uno, dove col primo “uno” si intende uno e col secondo “uno” si intende 1. Verifichiamo subito se è vero.
Il macellaio sotto casa vale uno.
Einstein vale uno.
Einstein vale il macellaio sotto casa.
No. Se si parla di gravità Einstein vale più del macellaio, se si parla di bistecche il macellaio vale più di Einstein. Per far sì che Einstein e il macellaio valgano allo stesso modo bisogna restringere il campo a quei pochi argomenti che entrambi più o meno conoscono e sui quali entrambi sono in grado di esprimere un’opinione, come per esempio la pulizia delle strade. In tutti i casi dove è invece richiesta una competenza specifica bisogna ammettere, per quanto possa sembrare scortese, che uno non vale uno. È il motivo per cui non si fanno le elezioni per i piloti d’aereo, i chirurghi o le teorie scientifiche. Non ancora, almeno.
Si dice anche che internet favorisca il diffondersi della conoscenza, perché se uno (che vale uno) dice in rete una cosa falsa viene subito sbugiardato da tanti altri (che valgono più di uno). Ma è vero? Se uno dice che il Sole ruota attorno alla Terra tutti capiscono che sta dicendo una stupidaggine (quasi tutti, va’), ma se arriva un signore che parla di cellule staminali mesenchimali che si trasformano in neuroni, come si fa a sapere se quello che dice è vero o falso? Io non so assolutamente niente di queste cose, per me potrebbe anche dire che le cellule germinali ribosomiche si trasformano in cotolette. Certo, se uno guardasse la foto di quest’uomo noterebbe subito che è pettinato come adesso si usa fra i ciarlatani
 ma purtroppo non tutti prendono con la dovuta serietà quello che la pettinatura di una persona dice, e così succede che, se uno vale uno e la competenza vale zero, le chiacchiere di un ciarlatano qualsiasi valgono tanto quanto un editoriale di Nature.
Se c’è una cosa che internet contribuisce a diffondere non è la conoscenza ma sono le dicerie, le bufale, le teorie del complotto e in generale tutte le chiacchiere senza fondamento, e questo non perché ci sia qualcosa che non va nel mezzo, ma perché la conoscenza costa fatica mentre le stupidaggini scivolano nella testa che è un piacere.
Purtroppo il sapere non è democratico.

Fonte:  http://incomaemeglio.blogspot.com/



sabato 19 aprile 2014

Pasqua



Frontiere


Non c’è viaggio senza che si attraversino frontiere – politiche, linguistiche, sociali, culturali, psicologiche, anche quelle invisibili che separano un quartiere da un altro nella stessa città, quelle tra le persone, quelle tortuose che nei nostri inferi sbarrano la strada a noi stessi. Oltrepassare frontiere; anche amarle – in quanto definiscono una realtà, un’individualità, le danno forma, salvandola così dall'indistinto – ma senza idolatrarle, senza farne idoli che esigono sacrifici di sangue. Saperle flessibili, provvisorie e periture, come un corpo umano, e perciò degne di essere amate; mortali, nel senso di soggette alla morte, come i viaggiatori, non occasione e causa di morte, come lo sono state e lo sono tante volte. Viaggiare non vuol dire soltanto andare dall'altra parte della frontiera, ma anche scoprire di essere sempre pure dall'altra parte.


C. Magris, L’infinito viaggiare




Lumache


Tutt'intorno al giardino c'era una siepe di noccioli e poco più fuori si trovavano prati e campi con mucche e pecore, ma in mezzo al giardino c'era un rosaio in fiore sotto il quale si trovava una lumaca che poteva dire di avere davvero molto nel suo guscio, poiché aveva tutta se stessa.
"Aspetta che venga il mio tempo!" diceva "farò qualcosa di più che non mettere rose o portare noci o dare latte come fanno le mucche e le pecore!"
"Mi aspetto proprio molto da lei!" rispose il rosaio. "Posso chiederle quando sarà?"
"Mi dia tempo" ribatté la lumaca. "Lei ha troppa fretta! e non si gusta l'attesa."
L'anno dopo la lumaca si trovava quasi nello stesso posto, al sole sotto il rosaio. Questo aveva messo le gemme e gettava rose sempre fresche, sempre nuove. La lumaca spuntò fuori, allungò le corna e si ritirò di nuovo.
"Tutto come l'anno scorso: non c'è nessun progresso. Il rosaio continua con le rose e non va oltre!"
Passò l'estate, passò l'autunno, e il rosaio aveva ancora fiori e gemme finché non cadde la neve; il tempo poi divenne brutto e il rosaio si piegò verso terra. Anche la lumaca si rannicchiò nella terra.
Cominciò un nuovo anno e le rose spuntarono, anche la lumaca uscì.
"Ecco, ora lei è un vecchio fusto di rose" disse. "Deve cercare di uscire un po'. Ha dato al mondo tutto quel che aveva in sé: si tratta di sapere se questo ha significato qualcosa. Io non ho avuto tempo di pensarci, ma è chiaro che lei non ha fatto il minimo sforzo per svilupparsi interiormente: altrimenti da lei sarebbe uscito qualcos'altro. Si può giustificare? Tra poco resterà solo il suo fusto; capisce quello che dico?"
"Lei mi spaventa" rispose il rosaio. "Non ci avevo mai pensato."
"No, non si è certo mai preso la briga di pensare! Ha mai cercato di capire perché fioriva, e come faceva a fiorire? perché in un modo e non in un altro?"
"No" riconobbe il rosaio "fiorivo pieno di gioia perché non potevo fare altro: il sole era così caldo, l'aria così fresca! Bevevo la chiara rugiada e la pioggia violenta, respiravo, vivevo! Veniva dalla terra un forza, veniva dall'alto una forza, provavo una felicità sempre nuova, grande, e per questo dovevo fiorire. Quella era la mia vita, non potevo fare altro!"
"Lei ha condotto una vita molto comoda!" disse la lumaca.
"Naturalmente! Mi è stato dato tutto!" assentì il rosaio. "Ma a lei è stato dato ancora di più! Lei è una di quelle nature pensanti e riflessive, una di quelle molto dotate, che stupiranno il mondo."
"Non ne ho la minima intenzione!" rispose la lumaca. "Il mondo non mi interessa. Che cosa ho da guadagnare dal mondo? Ho già tutta me stessa, è più che abbastanza."
"Ma noi tutti, sulla terra, non dovremmo dare la parte migliore di noi agli altri? Portare quello che possiamo? Be', io ho solo portato rose! Ma lei, lei che ha ricevuto tanto, che cosa ha dato al mondo? Che cosa dà?"
"Cosa ho dato? Cosa do? Io ci sputo sopra! Non vale niente non mi interessa! Lei butti rose, non può fare altro! Lasci che il nocciolo abbia le noci e le mucche e le pecore diano il latte. Loro hanno tutto il loro pubblico, io ho il mio pubblico in me stessa! Io entro in me stessa e lì rimango, e il mondo non mi interessa."
E così la lumaca rientrò nella sua casa e si chiuse dentro.
"Che tristezza!" disse il rosaio. "Io con tutta la mia buona volontà non sono capace di chiudermi dentro, devo sempre fiorire, fiorire con le mie rose. Le foglie cadono, volano via col vento! Eppure una delle rose è stata messa nel libro di preghiere di una madre, un'altra ha trovato posto sul petto di una graziosa fanciulla, un'altra ancora è stata baciata dalla bocca di un bambino con tanta dolcezza. Questo mi ha fatto molto bene, è stato come una benedizione. Questi sono i miei ricordi, la mia vita!"
E il rosaio fiorì, fiorì con innocenza; la lumaca invece poltriva nella sua casa, il mondo non le interessava.
Passarono gli anni.
La lumaca divenne terra nella terra, anche il rosaio divenne terra nella terra; anche la rosa-ricordo del libro di preghiere era diventata aria, ma nel giardino fiorivano nuovi rosai, crescevano nuove lumache, che si richiudevano nelle loro case e sputavano: il mondo non le interessava.
Dobbiamo rileggere la storia dall'inizio? Non cambia comunque.

Hans Christian Andersen, La lumaca e il rosaio 















      
Photographer: Vyacheslav Mishchenko





mercoledì 16 aprile 2014

martedì 15 aprile 2014

Fireflies


Fireflies time lapse

Photo: Vincent Brady






Napoletanità



(...) Io so questo: che i napoletani oggi sono una grande tribù che anziché vivere nel deserto o nella savana, come i Tuareg o i Beja, vive nel ventre di una grande città di mare. Questa tribù ha deciso – in quanto tale, senza rispondere delle proprie possibili mutazioni coatte – di estinguersi, rifiutando il nuovo potere, ossia quella che chiamiamo la storia o altrimenti la modernità. La stessa cosa fanno nel deserto i Tuareg o nella savana i Beja (o fanno anche, da secoli, gli zingari): è un rifiuto, sorto dal cuore della collettività (si sa anche di suicidi collettivi di mandrie di animali); una negazione fatale contro cui non c’è niente da fare. Essa dà una profonda malinconia, come tutte le tragedie che si compiono lentamente; ma anche una profonda consolazione, perchè questo rifiuto, questa negazione alla storia, è giusto, è sacrosanto. La vecchia tribù dei napoletani, nei suoi vichi, nelle sue piazzette nere o rosa, continua come se nulla fosse successo a fare i suoi gesti, a lanciare le sue esclamazioni, a dare nelle sue escandescenze, a compiere le proprie guappesche prepotenze, a servire, a comandare, a lamentarsi, a ridere, a gridare, a sfottere; nel frattempo, e per trasferimenti imposti in altri quartieri (per esempio il quartiere Traiano) e per il diffondersi di un certo irrisorio benessere (era fatale!), tale tribù sta diventando altra. Finché i veri napoletani ci saranno, ci saranno; quando non ci saranno più, saranno altri (non saranno dei napoletani trasformati). I napoletani hanno deciso di estinguersi, restando fino all’ultimo napoletani, cioè irripetibili, irriducibili e incorruttibili.

 Pier Paolo Pasolini

(Il testo fu pubblicato dal giornalista napoletano Antonio Ghirelli in La napoletanità, edito da Società editrice napoletana, nel 1976)




Il napoletano (…) vive nella psicologia del miracolo, sempre nell’attesa di un fatto straordinario tale da mutare di punto in bianco la sua situazione 

Raffaele La Capria, Ferito a morte




lunedì 7 aprile 2014

Humpback's tale


La caccia alle balene portata avanti dal Giappone nell'Antartico non ha alcuna finalita' scientifica e per questo deve cessare: lo ha stabilito la Corte internazionale di Giustizia dell'Aja (Icj), chiamata ad esprimersi sull'attivita' delle baleniere di Tokyo.
La sentenza e' vincolante e non puo' essere appellata e quindi e' destinata a segnare uno spartiacque nella battaglia per la difesa dei cetacei.
Secondo i dati di Canberra, dal 1988 il Giappone ha macellato più di 10mila cetacei, in violazione dei convegni internazionali di moratoria e dell’obbligo di preservare l’ambiente marino.