venerdì 31 ottobre 2014

Halloween








Rock Balancing



La ricerca dell’equilibrio di due o più pietre esige pazienza ed umiltà, estraneazione dallo scorrere del tempo, immersione nella natura, ascolto dei suoni e del silenzio. È una disciplina mentale che aumenta la sensibilità e la percezione dello scambio di energia tra il soggetto e la pietra da porre in equilibrio.
"Balancer" sono chiamati coloro che erigono le figure di pietra in equilibrio, chiamate anche sculture. La personale sensibilità artistica e bravura nella ricerca dell’equilibrio fa sì che le opere siano molto personali, e facilmente riconoscibili.
(Wikipedia)



Michael Grab è un importante giovane artista del Colorado le cui sculture, al limite del possibile, sono frutto di meditazione e di ricerca di unità con la natura

   
 

Tipi differenti di pietre in equilibrio:

Equilibrio puro: ogni roccia è in equilibrio su un'altra grazie ad un solo punto di appoggio;
Equilibrio a contrasto (Counter balance): rocce più piccole che dipendono dal peso delle rocce sovrastanti per mantenere l'equilibrio;
Pietre accatastate (Stacking balance): rocce posate una sull'altra a formare strutture di altezza elevata;
Free style: miscela di equilibrio puro ed equilibrio counter, nella struttura possono essere inclusi archi.

(Wikipedia) 










giovedì 30 ottobre 2014

Solitude



Ora noi possiamo sentirci, in mezzo alle comunità, soli e diversi, ma il desiderio di rassomigliare ai nostri simili e il desiderio di condividere il più possibile il destino comune è qualcosa che dobbiamo custodire nel corso della nostra esistenza e che se si spegne è male. 
Di diversità e solitudine, e di desiderio di essere come tutti, è fatta la nostra infelicità e tuttavia sentiamo che tale infelicità forma la sostanza migliore della nostra persona ed è qualcosa che non dovremmo perdere mai.

Natalia Ginzburg





mercoledì 29 ottobre 2014

Maledetto Sud



Per quanto non venisse mai teorizzata una separazione, l’idea che esistessero gli italiani del Nord e gli italiani del Sud era diffusa e condivisa fin già dagli anni Ottanta del Novecento, prima ancora dell’esplosione leghista, e nel tempo sarebbe diventata argomento di dibattito e di contrasto politico, di presunzioni e di retoriche identitarie. Sentirsi italiani non era facile, ma diventava una sorta di rivendicazione contro i separatismi leghisti e anche contro le ridondanti esibizioni di appartenenze localistiche. Un terreno scomodo, di confine, ma l’unico percorribile e l’unico ragionevole, a condizione di poter decostruire quelle retoriche e di guardare dentro alle ambiguità delle identità e, insieme alle bellezze, di appartenere a un luogo, di avere, come diceva Ernesto de Martino, una patria di riferimento. Dirsi o sentirsi o pensarsi di questo luogo e insieme dell’Italia non è operazione semplice e definitiva. E diventa sempre piú complicato nel momento in cui Nord e Sud, quasi come destra e sinistra, perdono gli antichi significati, e vanno collocati in un mondo piú vasto, globale, completamente nuovo rispetto al passato e ad ogni presente immaginato; un nuovo che spesso non lascia spazio all’idea di futuro e inevitabilmente porta a una sorta di restaurazione, di rimpianto, di rifiuto del passato. Sentirsi radicato e sradicato, qui e altrove, partito e rimasto, è forse la condizione dolce e dolorosa di chi capisce quanto sia diventato piú piccolo il mondo ed enormemente piú grandi i suoi problemi. Forse allora bisogna ripartire da una riflessione sulla possibilità e sulla necessità di sentirsi italiano, pure sentendo l’appartenenza a un luogo e a un mondo. Può significare comprendere che il riconoscimento profondo di un luogo può essere un possibile antidoto alla fine del mondo. Chi ha conosciuto la fine del proprio mondo non è piú disponibile ad accettare che finisca il Mondo. Questa riflessione incontra sempre il problema delle immagini, la potenza degli stereotipi, il senso di noi che è stato costruito nei secoli grazie anche a sguardi non sempre benevoli, anzi ostili e miopi, parziali e deformanti. Ci si chiede se liberarsi dalla «maledizione» di un’identità angusta, chiusa, inventata (come quella che oppone Nord a Sud) può spingere a trasformare il conflitto in benedizione, il risentimento in riconoscenza, l’autoassoluzione in consapevolezza dei propri errori, l’ostilità nei confronti degli altri in comprensione. Questo mio viaggio è, non a caso, mirato a smontare i luoghi comuni dei pregiudizi (anche propri) che segnano il Sud e le immagini di un mondo complesso che spesso si rovesciano se ricostruite attraverso uno sguardo storico, antropologico e letterario.


Happiness


martedì 28 ottobre 2014

Riguardare i luoghi



Riguardare i luoghi significa guardarli altrimenti, con la levità di chi non vuole farsi soffocare dal passato, con la gioia di chi parla di cose amate. Riguardare i luoghi significa riconoscerli per quello che oggi sono diventati, senza rimpianti, nostalgie. Significa riconoscere genealogie, case, antenati, ma anche pensare ai bambini, a quelli che verranno. Sulla scena geografica del vecchio e nuovo mondo si affacciano individui e gruppi che hanno bisogno d’inventare il villaggio, le origini, la piccola patria come luogo di una diversità da recuperare, di una superiorità da ostentare. Riguardare significa rispetto, attenzione, ma anche riflessione sulla necessità di un nuovo senso comunitario, di un nuovo senso pubblico.
(...)
Riguardare significa avere cura. Cura è parola densa, che parte dalla sfera emozionale, oscillando tra sollecitudine, premura, attenzione, riguardo, preoccupazione e inquietudine fino ad indicare l’amore e la pena amorosa. La cura ha un senso vivo anche nella sfera pratica e parla di coltivazione delle piante e di allevamento degli animali, di un’attenzione che si espande alla natura e alla terra, oltre che alle persone. I luoghi hanno bisogno di amore vero, quello che nasce da una salvifica schiettezza, quello che mette a nudo bellezze e bruttezze per esaltare la profonda complessità del reale. Cura dei luoghi significa anche farsi carico delle verità drammatiche, quelle che tutti vorremmo tacere o imbellettare, nascondere o rifiutare in ogni modo. Cura è anche saper fare i conti con il dolore.
L’avere cura non è soltanto un fatto etico, morale, estetico è anche una pratica concreta. L’agire superficiale non prevede cura, ma l’occultamento dei problemi, o una loro falsa soluzione. Cura significa avere attenzione per le persone, per i rapporti, per i legami. La cura ha una visione globale del corpo, del corpo-paese, del corpo-comunità e dell’alterità che al corpo si accosta. Riguardare per cambiare significa muoversi a piedi in quei luoghi che sembrano condannati all’inesorabile marginalità, e che invece potrebbero trasmettere vitalità al mondo. Riguardare è attraversare paesi e campagne, conoscere quelli che arrivano, apprendere l’arte del camminare vigile, silenzioso, spesso solitario.

Vito Teti, Il clamore del vuoto 




lunedì 27 ottobre 2014

Case



Mi rimangono le case in cui sono stato felice, dove ho assistito alla bellezza, alla bontà, dove ho vissuto pienamente. Guardo la fisionomia delle abitazioni come se fossero volti, torno a esse con l’immaginazione, salgo scale, apro porte e contemplo quadri. Non so se gli uomini siano troppo ingrati con le case, o se la mia gratitudine nei loro confronti sia una forma di nevrosi. Il fatto è che amo i luoghi dove ho incontrato un minuto di pace, non li dimentico mai, li porto con me e conosco la loro essenza intima, il mistero ansioso di rivelarsi che abita in ogni parete. Sono certo che le case cerchino di parlare, di farsi amare, e a volte mi spiego i fantasmi: come non ritornare dalla morte, a visitare le case amate? Io sarò un fantasma infaticabile.


Julio Cortazar


 




giovedì 23 ottobre 2014

Il difficile



Difficile non è raggiungere qualcosa, ma liberarsi dalla condizione in cui si è.


Marguerite Duras, L'amante





mercoledì 22 ottobre 2014

I treni per Reggio / 1972





Tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta diversi movimenti di rivendicazione sociali esplosero nel sud Italia e immediato fu il tentativo di annegarli nel sangue. A Reggio Calabria, tra il luglio ed il settembre del 1970 si susseguirono numerose proteste contro il trasferimento del capoluogo regionale a Catanzaro. Vennero occupati la stazione, l'areoporto, le Poste e vi fu un grande sciopero generale. Le organizzazioni di estrema destra risposero a questa ondata di protesta sociale da un lato con una serie di attentati dinamitardi, come quello del 22 luglio 1970 che fece deragliare il treno "Freccia del Sud" a Gioia Tauro (6 persone morirono nell'attentato) e quello del 4 febbraio 1970, quando venne lanciato una bomba contro un corteo antifascista a Catanzaro; dall'altro tentando di scatenare disordini in città.
Per rispondere a questi attacchi i sindacati metalmeccanici decisero di organizzare una grande manifestazione di solidarietà a fianco dei lavoratori calabresi. Fu tra le prime volte che gli operai del nord e del centro scesero a manifestare al Sud.
La manifestazione fu indetta per il 22 ottobre. I neofascisti tentarono di impedire l'arrivo dei manifestanti con una serie di attentati, 8 in totale, nella notte tra il 21 e il 22 ottobre 1972. Il tentativo però fallì, infatti più di 50.000 manifestanti riuscirono a raggiungere Reggio Calabria con i treni e i treni speciali, cui si aggiunse anche una nave con 1000 operai noleggiata dagli operai dell'Ansaldo di Genova.
Il viaggio e la giornata sono descriti da una canzone di Giovanna Marini.




Andavano col treno giù nel Meridione
per fare una grande manifestazione
il ventidue d'ottobre del '72
in curva il treno che pareva un balcone
quei balconi con la coperta per la processione
il treno era coperto di bandiere rosse
slogans, cartelli e scritte a mano
da Roma-Ostiense mille e duecento operai
vecchi e giovani e donne
con i bastoni e le bandiere arrotolate
portati tutti a mano sulle spalle
il treno parte e pare un incrociatore
tutti cantano Bandiera Rossa
dopo venti minuti che siamo in cammino
si ferma e non vuole più partire
si parla di una bomba sulla ferrovia
il treno torna alla stazione
tutti corrono coi megafoni in mano
richiamano «andiamo via Cassino
compagni da qui a Reggio è tutto un campo minato
chi vuole si rimetta in cammino»
dopo un'ora quel treno che pareva un balcone
ha ripreso la sua processione
anche a Cassino la linea è saltata
siamo tutti attaccati al finestrino
Roma Ostiense Cisterna Roma Termini Cassino
adesso siamo a Roma Tiburtino
il treno di Bologna è saltato a Piverno
è una notte è una notte d'inferno
i feriti tutti sono ripartiti
caricati sopra un altro treno
funzionari responsabili sindacalisti
sdraiati sulle reti dei bagagli
per scrutare meglio la massicciata
si sono tutti addormentati
dormono dormono profondamente
sopra le bombe non sentono più niente
l'importante adesso e' di essere partiti.
ma i giovani hanno gli occhi spalancati
vanno in giro tutti eccitati
mentre i vecchi sono stremati
dormono dormono profondamente
sopra le bombe non sentono più niente
Famiglie intere a tre generazioni
son venute tutte insieme da Torino
vanno dai parenti fanno una dimostrazione
dal treno non è sceso nessuno
la vecchia e la figlia alle rifiniture
il marito alla verniciatura
la figlia della figlia alle tappezzerie
stanno in viaggio ormai da più di venti ore
aspettano seduti sereni e contenti
sopra le bombe non gliene importa niente
aspettano che è tutta una vita
che stanno ad aspettare
per un certificato mattinate intere
anni e anni per due soldi di pensione
erano venti treni più forti del tritolo
guardare quelle facce bastava solo
con la notte le stelle e con la luna
i binari stanno luccicanti
mai guardati con tanta attenzione
e camminato sulle traversine
mai individuata una regione
dai sassi della massicciata
dalle chine di erba sulla vallata
dai buchi che fanno entrare il mare
piano piano a passo d'uomo
pareva che il treno si facesse portare
tirato per le briglie come un cavallo
tirato dal suo padrone
A Napoli la galleria illuminata
bassa e sfasciata con la fermata
il treno che pare un balcone
qualcuno vuol salire attenzione
non fate salire nessuno
può essere una provocazione
si sporgono coi megafoni in mano
e un piede sullo scalino
e gridano gridano quello che hanno in mente
sono comizi la gente sente
ora passa la notte e con la luce
la ferrovia è tutta popolata
contadini e pastori che l'hanno sorvegliata
col gregge sparpagliato
la Calabria ci passa sotto i piedi ci passa
dal tetto di una casa una signora grassa
fa le corna e alza una mano
e un gruppo di bambini
ci guardano passare
e fanno il saluto romano
Ormai siamo a Reggio e la stazione
è tutta nera di gente
domani chiuso tutto in segno di lutto
ha detto Ciccio Franco "a sbarre"
e alla mattina c'era la paura
e il corteo non riusciva a partire
ma gli operai di Reggio sono andati in testa
e il corteo si è mosso improvvisamente
è partito a punta come un grosso serpente
con la testa corazzata
i cartelli schierati lateralmente
l'avevano tutto fasciato
volavano sassi e provocazioni
ma nessuno s'è neppure voltato
gli operai dell'Emilia-Romagna
guardavano con occhi stupiti
i metalmeccanici di Torino e Milano
puntavano in avanti tenendosi per mano
le voci rompevano il silenzio
e nelle pause si sentiva il mare
e il silenzio di quelli fermi
che stavano a guardare
e ogni tanto dalle vie laterali
si vedevano i sassi volare
e alla sera Reggio era trasformata
pareva una giornata di mercato
quanti abbracci e quanta commozione
"il Nord è arrivato nel Meridione"
e alla sera Reggio era trasformata
pareva una giornata di mercato
quanti abbracci e quanta commozione
gli operai hanno dato una dimostrazione.







News

 
 











martedì 21 ottobre 2014

lunedì 20 ottobre 2014

Strandbeest



Theo Jansen (Scheveningen-L'Aja, 14 marzo 1948) è un artista olandese attivo soprattutto nel campo della scultura cinetica, con creazioni che si pongono al confine tra la creazione artistica e la progettazione ingegneristica.
Le sue più celebri creazioni sono le Strandbeesten (animali da spiaggia), grandi strutture mobili costruite connettendo e articolando sottili tubi gialli in PVC, del tipo in uso in elettrotecnica per la canalizzazione dei cablaggi di impianti elettrici, assemblati con nastro adesivo, elastici, e fascette serrafili. A questi materiali si aggiunge l'impiego di bottiglie riciclate di polietilene, bastoni di legno e persino pallet.
Simili nell'aspetto a giganteschi insetti, o a grossi scheletri animali, le sue creature sono in grado di camminare sulle spiagge olandesi sfruttando l'energia del vento: nel tempo, hanno acquisito anche forme di omeostasi, con la capacità di immagazzinare l'energia eolica in bottiglie, sotto forma di aria compressa, per garantirsi forme di autonomia in assenza di vento, ma anche con l'implementazione di forme rudimentali di abilità percettive nei confronti dell'ambiente esterno, attraverso semplici sensori realizzati con gli stessi materiali di base, e con l'implementazione di elementari forme di memorizzazione, una combinazione di elementi che permette alle Strandbeest di modificare il proprio comportamento sulla base delle percezioni.

(Wikipedia)









Forse



Forse verrà il giorno in tutte le altre creature animali si vedranno riconosciuti quei diritti che nessuno, che non sia un tiranno, avrebbe dovuto negar loro. I Francesi hanno già scoperto che il colore nero della pelle non è una buona ragione perché un uomo debba essere abbandonato, per motivi diversi da un atto di giustizia, al capriccio di un torturatore. Forse un giorno si giungerà a riconoscere che il numero delle zampe, la villosità della pelle o la terminazione dell'osso sacro sono ragioni altrettanto insufficienti per abbandonare a quello stesso destino un essere senziente. In base a che cos'altro si dovrebbe tracciare la linea insuperabile? In base alla ragione? O alla capacità di parlare? Ma un cavallo o un cane che abbiano raggiunto l'età matura sono senza confronto animali più razionali e più aperti alla conversazione di un bambino di un giorno, di una settimana o di un mese. Supponiamo che così non fosse; che cosa conterebbe? La domanda da porsi non è se sanno ragionare, né se sanno parlare, bensì se possono soffrire.

Jeremy Bentham (1748 – 1832)


sabato 18 ottobre 2014

Ode alla molteplicità



Non capisco tutto e mi rallegro
persino che il mondo come un oceano
inquieto superi la mia capacità
di comprendere il senso dell’acqua, della pioggia,
dei bagni nello Stagno del Fornaio, vicino
al confine boemo-tedesco, nel settembre
del 1980; dettaglio questo senza particolare
significato, un profondo stagno germanico.
Che l’Ego in crisi di ossigeno
respiri tranquillo, un nuotatore taglia la linea
del meridiano, è sera, le civette si svegliano
dal sonno diurno, in lontananza
rombano pigramente le auto. Chi per una volta
ha sfiorato la filosofia è perduto,
non lo salverà la poesia, resterà
sempre, rimanenza
incalcolabile, la nostalgia. Chi per una volta ha conosciuto
la folle corsa della poesia più non proverà
la quiete petrosa della prosa familiare
dove ogni capitolo è nido
di una generazione. Chi per una volta è vissuto non
dimenticherà la delizia mutevole delle
stagioni, persino le bardane gli appariranno in
sogno e le ortiche e i ragni, solo
un poco più brutti delle rondini. Chi per una volta
ha incontrato l’ironia sbufferà ridendo
durante la lezione del profeta, chi per una volta
ha pregato non solo con le labbra asciutte
ricorderà la presenza di una strana eco
rimbalzata da una parete. Chi per una volta ha
taciuto non vorrà parlare durante
il dessert, chi è stato ustionato dallo shock
dell’amore farà ritorno ai libri con volto mutato.
Rimani dritta, anima singola, di fronte
all’eccesso. Due occhi, due mani,
dieci dita ingegnose e
un solo Ego, un quarto d’arancia,
la più giovane delle sorelle. Il piacere
dell’udito non guasta il piacere
della vista, ma l’ebbrezza della libertà distrugge
la pace degli altri sensi quieti.
La pace, un nulla spesso, pieno di dolce
succo come una pera a settembre.
Brevi istanti di felicità svaniscono
sotto una slavina di ossigeno, d’inverno una cornacchia
solitaria batte il becco sulla bianca distesa
gelata del lago, una coppia di picchi impaurita
dall’accetta cerca sotto la mia
finestra un pioppo abbastanza malato.
Una donna dall’aria assente scrive
lunghe lettere e la nostalgia si gonfia come
l’oppio; in un museo egizio un papiro
bruno è intriso della stessa
nostalgia, più antica di alcuni
millenni, incrollabile e intatta.
Le lettere d’amore vanno sempre
a finire nei musei, i curiosi sono più
ostinati degli innamorati. L’Ego avido
trangugia l’aria, la ragione si risveglia
dal sonno diurno, il nuotatore esce
dall’acqua. Una donna avvenente posa per
la felicità, gli uomini fingono di essere
più coraggiosi di quanto non siano veramente,
il museo egizio non cela le debolezze
umane. Esistere, per esistere ancora,
forse offrendosi in affitto
a una delle gelide stelle. E talvolta
beffarsi di lei che è fredda e viscida
come una rana nello stagno. La poesia cresce sulla
contraddizione, ma non la ricopre.


Adam Zagajewski





sabato 11 ottobre 2014

La precisione dell'amore




Vado sempre in cerca di poesia, nutre una mia batteria fondamentale, la cerco nei boschi, nella notte, negli alberi, negli animali, nei libri, negli ascolti, negli sbagli. Soprattutto, nella mancanza. Se accetto di mancare, di assaporare quel mio mancarmi sempre, arriva una brezza di parole
 




venerdì 10 ottobre 2014

Appocundria



Ci sono parole perfette, che aprono un mondo e lo contengono, inspiegabili se non con complessi giri di parole. Parole contenitori che raccontano l’apatia, l’indolenza, la refrattarietà nate da sconforto e dolore, di quando si sta così male che niente più sembra interessare, e il mondo ha frequenze che semplicemente non interessano più, ché nulla può scalfire la condizione che si sta attraversando. Questa parola è napoletana ed è «appocundria»

Davide Enia



mercoledì 8 ottobre 2014

E120



Il colorante rosso cocciniglia, indicato nelle etichette con il numero E120, è di origine naturale: viene ottenuto dal corpo essiccato di alcuni insetti della specie Dactylopius coccus  che si nutrono della linfa delle piante grasse ( in particolare cactus e fichi d’india) e secernono un liquido colorato per proteggersi dai predatori.
Questa sostanza dal colore rosso (detto anche carminio)  è presente soltanto nelle femmine e raggiunge la massima concentrazione in quelle gravide. 
Per produrre un chilogrammo di colorante servono 100.000 insetti.
L’estrazione avviene dalle uova essiccate oppure,  se si vuole ottenere  una tinta più intensa e brillante, facendo essiccare direttamente l’insetto. Successivamente vengono pulite, ridotte in polvere e trattate con ammoniaca o con una soluzione di carbonato di sodio per estrarre l’acido carminico, che è la molecola colorata.  All’occorrenza viene aggiunta della calce per ottenere sfumature di color porpora.
La cocciniglia viene purtroppo utilizzata per la produzione della maggior parte dei coloranti rossi nell’industria alimentare, per produrre prodotti di bellezza come fard e rossetti, e in misura minore per la tintura dei vestiti. Nell’archivio di Trashfood sono riportati diversi alimenti che contengono l’E120. Tra gli alimenti più comuni consumati forse inconsapevolmente dai vegetariani (non parliamo dei salumi e gli hamburger industriali, che lo contengono per dare una colorazione maggiormente appetitosa alla carne), la cocciniglia si trova in prodotti per bambini come il Fruttolo, nel Campari (ecco da dove viene il suo colore rosso profondo), mentre la Lindt lo usa nei cioccolatini Lindt Passion.
La FDA si è pronunciata sulla necessità di segnalare nell’etichetta questo additivo e la sua origine in tutte le etichette degli alimenti e i cosmetici per assicurarne un uso sicuro. Negli Stati Uniti, alcune associazioni di consumatori hanno chiesto all’FDA che l’acido carminico e composti simili vengano espressamente dichiarati in etichetta e ne venga indicata l’origine animale, a tutela dei consumatori vegetariani stretti.