venerdì 30 giugno 2017

So fuckin' special





Forget all the years they refused to perform ‘Creep’...









giovedì 29 giugno 2017

Italia Italia / 2






Lo prevede il nuovo articolo 162-ter del codice penale, con l'obiettivo di favorire la chiusura stragiudiziale di alcuni processi, con ristoro della vittima.
Ed è proprio per tale ragione che tale causa di estinzione ha un'operatività limitata ai reati perseguibili a querela soggetta a remissione e, quindi, anche allo stalking.

Somma non accettata:

Peraltro, la norma non subordina l'efficacia della condotta riparatoria all'accettazione dell'offerta da parte della vittima: è infatti sufficiente anche la sola offerta reale di una somma che, al di là di ciò che pensa la persona offesa dal reato, è dal giudice reputata congrua.







mercoledì 28 giugno 2017










Italia Italia / 1






"Criminale è licenziare solo per fare un poco più di profitto e ancora più criminale è adattare la legge a favore del più forte, togliere diritti e tutele a chi lavora e dare potere di vita e di morte a chi ha già il potere dell’impresa e del mercato. E criminale è esaltare flessibilità e sfruttamento del lavoro nel nome della maggiore competitività. E una società criminale è quella ove si regalano miliardi pubblici per salvare le banche, e milioni per salvare un programma tv. Mentre chi perde il lavoro fa fatica a ricevere meno di mille euro al mese.
Il licenziamento è un crimine al quale la società si è assuefatta, e per questo la vita civile precipita moralmente sempre più in basso.
Il fratello di Candida ha denunciato un mondo del lavoro senza regole e solidarietà, vero, ma a questo si è giunti perché l’ingiustizia sociale più feroce è diventata la normalità della vita quotidiana. E perché la criminalità sociale nel nome del profitto e del mercato viene legalizzata e persino esaltata dal potere e da chi il potere serve." 

 
 Giorgio Cremaschi, http://contropiano.org/








martedì 27 giugno 2017

Bulletproof



In un'esplosione interstellare sono tornato per salvare l'universo

Il mio è un paese piccolo, qualche migliaio di anime e un dialetto fatto apposta per parlare di sbagli. Quand'ero ragazzino, quindi, non è che ci fossero poi troppe sottoculture musicali tra i miei coetanei. Tolti quelli a cui la musica interessava poco o niente e quelli che ascoltavano quello che passavano Videomusic o Mtv (...)

C'è anche da dire che parliamo di un'epoca in cui Internet non era ancora quella cosa totalizzante che, a tratti, viene fastidiosamente interrotta dalla vita reale. Quello che ascoltavi o lo avevi comprato, o ti avevano passato una cassetta (o, poco dopo, un cd), o lo avevi registrato dalla radio/dalla tv. Le possibilità, sia di scoperte personali che di influenze reciproche, erano estremamente ridotte.
Va infine considerato che, a livello sociale, esclusi i circoletti dell'amicizia di cui sopra, essere appassionato di musica nella seconda parte degli anni novanta dalle mie parti era sostanzialmente inutile. Non c'era alcun tipo di prestigio generale, non c'era riscontro tra i coetanei, non aiutava a crearsi nuovi giri o a trovare a chi tirare i limonetti fuori dalle sale giochi. La musica non era così importante rispetto ad altro, tutto qua. Capisco che per chi vive la propria giovinezza a Milano o Roma nel 2017 sia inconcepibile, ma this is deep provincia. Non avevi Facebook in cui pubblicare un video dei Joy Division per farti mettere un batti cinque metaforico che ti alzasse il morale (già basso perché stavi ascoltando i Joy Division, ma basso in modo bello) da qualcuno a seicento chilometri da te.

Detto questo, nel mio contesto i Radiohead li ascoltavamo in due.
Sì, c'è stata la parentesi in cui Karma Police la conoscevano tutti, ma comunque sia li ascoltavamo in due.
I Radiohead erano bollati come musica depressa, e lasciati là con un certo fastidio. Te li ascoltavi da solo, in camera o camminando in diga col montgomery e il walkman della Sony, ripetutamente, preso male nella maniera più sublime possibile, con i testi a memoria e a million bubbles all surrogate and bulletproof. Quella roba meravigliosa per cui nello stesso momento ti senti parte di qualcosa di più grande di tutto, pur sapendo di essere solo. Quell'effetto, in quel modo, me l'han fatto provare in pochissimi. E provarlo a sedici anni vuol dire portartelo dietro in ogni momento importante del diventare te stesso. The bends è tuttora il disco della mia vita (avete idea di cosa non siano le b side di quel disco? madonna mia, la definizione da Devoto Oli di bellezza totale).
Poco dopo Ok computer è uscito un documentario sulla band, che consiglio a tutti di recuperare, dal titolo Meeting people is easy. È fatto di alienazione, noia e azzurrino. Tutte le volte che ho incontrato qualcuno che lo aveva visto, si cadeva sempre a parlare della stessa scena: Thom che viene rimbalzato all'entrata di un locale in cui c'era una festa, col buttafuori che lo prende per il culo in quanto membro dei Radiohead. Quel momento sembrava messo là apposta per far scattare nella testa del fan le parole “ecco, esattamente”.
(...)
I Radiohead erano il filtro attraverso il quale affrontavo (affrontavamo) il non capirci un cazzo della mia (nostra) adolescenza. Quando nel 2001 sono andato a vederli all'Arena di Verona c'è stato un momento, alla fine di Paranoid android, in cui metà Arena cantava con Thom e l'altra metà faceva il coro. Accendini. Cuori che battevano fuori giri. Tra una nota e l'altra, tra una sillaba e l'altra, pareva quasi di sentire il silenzio e il rispetto che ci si aspetta all'interno di un tempio. È stato -di nuovo- un momento di comunione con altri quindicimila tizi che sentivano le stesse cose, ognuno a modo proprio. Una preghiera al nostro non sapere chi siamo.
Finito il concerto, tornato a casa, al mio paese rimanevamo pur sempre in due ad ascoltarli (bon, no, in realtà era già uscito Kid A, Internet era già bello potente e il culto cominciava a crescere, ma avete capito cosa intendo).
Domani mi arriva la riedizione di Ok computer (finalmente Lift in versione studio, che cazzo). E io l'ascolterò. E ci saranno i vecchi dubbi, e quelli nuovi. E quel momento a Verona. E le camminate col Sony in diga. E, probabilmente, più occhi lucidi di quanto sia accettabile per un quasi trentacinquenne.  (...)





Limb by limb and tooth by tooth
Tearing up inside of me
Every day every hour
I wish that I was bullet proof 





 

lunedì 26 giugno 2017

The bucket


Una telecamera piazzata sul fondo del contenitore ha ripreso insetti e animali della fattoria che si dissetano. Il progetto della texana The FieldLab, che sperimenta la vita nel deserto. 


 

Note: The swimming bees were rescued.









Agripunk




 

C'è un posto, in Toscana, fatto di campi, boschi e capannoni, per decenni adibiti ad allevamento di tacchini.
Nel 2014 l'allevamento chiude, grazie al lavoro e alla caparbietà di due persone che sognano di farne un luogo dove animali (umani e non) possano vivere in pace, lontani da violenza e sfruttamento.
Ad Aprile del 2015, nasce Agripunk Onlus, un rifugio che a oggi ospita più di 100 animali salvati. Non uno di loro è stato comprato, perchè non si tratta di oggetti, ma di vite con un valore intrinseco che nulla ha a che fare con quello economico.
Un podere composto da 3 appartamenti, 2 case, vari fondi, i 7 capannoni dell’ex allevamento, 5 ettari coltivabili inclusi vigneti per fare il vino ed ulivi per fare l’olio, oltre ad altri 20 ettari di prati, boschi, sorgenti, torrenti e un lago dove poter lasciar pascolare liberi gli animali liberati e dove dare riparo dalla caccia a quelli selvatici. Per un totale di 26 ettari ossia 260.000 metri quadri.
Qui potete leggere tutta la storia di questi favolosi ragazzi e tutto quello che hanno fatto finora per salvare più animali possibili!

 OGGI #Agripunk HA BISOGNO DEL NOSTRO AIUTO!
RACCOLTA FONDI ENTRO IL 30 GIUGNO: https://goo.gl/nJTnwQ







sabato 24 giugno 2017

Reato di tortura











Tortura, la Camera ignora le richieste dell'Europa

Nessuna modifica al ddl: respinti tutti gli emendamenti al testo. Il Consiglio d'Europa aveva espresso preoccupazione per le «profonde differenze» con i testi internazionali.
La commissione Giustizia della Camera non tiene conto delle richieste del Consiglio d'Europa di modificare il ddl Tortura e respinge tutti gli emendamenti al testo, su cui lunedì 26 giugno nell'Aula della Camera avrà inizio la discussione generale. In una lettera ai presidenti delle Camere, Nils Miuznieks, commissario dei diritti umani del Consiglio d'Europa, aveva chiesto di cambiare il testo approvato dal Senato perché nella sua forma attuale contiene una definizione del reato e diversi elementi in disaccordo con quanto prescritto dagli standard internazionali. Ma a Montecitorio quella richiesta è rimasta lettera morta.
Nella sua lettera, Muiznieks si diceva preoccupato per le «profonde differenze» tra la definizione di tortura nel testo in esame alla Camera e quella contenuta nei testi internazionali ratificati dall'Italia, in particolare quella della Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite. Il commissario punta il dito in particolare sul fatto che la proposta di legge preveda che per accusare qualcuno di tortura occorrerà che la persona abbia compiuto gli atti violenti più di una volta (l testo parla infatti di «reiterate violenze»). Secondo Muiznieks se la legge sarà approvata così com'è, certi casi di tortura o trattamenti inumani non potranno essere perseguiti «creando quindi delle potenziali scappatoie per l'impunità».







venerdì 23 giugno 2017

Mari






Arrivati a questo punto
dicesti
o si va oltre
o non ci si vede mai più
Non capivi che il bello era proprio quel punto
era rimanere
nel limbo delle cose sospese
nella tensione di un permanente principio
nel nascondiglio di una vita nell'altra
Così il mio contrappasso di pokerista
è stato perdere tutto
appena hai forzato la mano

Michele Mari, Cento poesie d’amore a Ladyhawke





 

Reverse racism











So, so easy





Rising up to break this thing
From family trees the dukes do swing
Just one blow to scratch the itch
The law's made for and by the rich
It would be easy.
So, so easy. 


 

Summer / Paz










A volte ritornano













giovedì 22 giugno 2017

mercoledì 21 giugno 2017

Snuggles


















Paris match





I'm only sad in a natural way
And I enjoy sometimes feeling this way
The gift you gave is desire
The match that started my fire

        (foto: marco)













Camionisti





COME È FATTO UN CAMIONISTA 

 

La situazione perfetta in cui vedere una persona come realmente è, denudata da inibizioni sociali e false cortesie, sono i commenti anonimi in rete. Ovviamente con “anonimato” non intendo il semplice uso di uno pseudonimo. Fa ridere chi chiama “nome vero” il nome anagrafico e “nome falso” uno pseudonimo, confondendo la validità legale di un nome con la sua riconoscibilità pubblica. Non mi pare che qualcuno definisca “anonimi” Mel Brooks (Melvin Kaminsky), Rita Hayworth (Margarita Cansino) e Madonna (Maria qualcosa). Senza contare che lo pseudonimo che uno si sceglie da solo è molto più “vero” dello pseudonimo che gli viene affibbiato alla nascita da genitori e Stato.
L’anonimato è quella condizione in cui non si è riconoscibili e non si deve rispondere delle proprie azioni, ed è una condizione che rende la gente particolarmente sincera, molto più del vino. Su internet è facile essere anonimi, ci vogliono quindici secondi a creare un indirizzo email fittizio, aprire un account Facebook con un nome a caso e andare a importunare qualche grillino, cosa che peraltro non ho mai fatto, ma fuori da internet come si fa? Bisogna mettersi i baffi finti? Fare un accento straniero? E come fanno gli stranieri coi baffi? In realtà il modo più efficace di essere anonimi fuori da internet è rinchiudersi in un voluminoso esoscheletro di metallo dotato di clacson, ruote motrici e motore a scoppio. Solo così è possibile sguinzagliare se stessi in giro per il mondo senza nessuna paura, e non bisogna fare nemmeno la fatica di esprimersi verbalmente. Al sicuro nel proprio abitacolo, uno diventa un puro grumo di volontà senza nome, il cui unico scopo è arrivare dove vuole arrivare nel più breve tempo possibile, fosse anche al cimitero.
È per questo motivo che, se si vuole conoscere a fondo una persona, basta guardare come guida. Ci sono i paurosi, che guidano come se fossero nella giungla; i rissosi, che appena si sentono feriti nell’orgoglio ingaggiano un duello di clacson; i rigorosi, che se vedono un segnale tipo questo
spengono la macchina e proseguono a piedi; gli esteti, che considerano la segnaletica stradale puro ornamento; gli indecisi, che girano ore e ore attorno alla stessa rotatoria nella speranza che appaia il cartello giusto, e naturalmente la categoria più diffusa di tutte: gli imbecilli, quelli che usano i lampeggianti come fossero siluri fotonici (secondo me fanno anche il rumore con la bocca). Tutti i caratteri umani sono rappresentati nei modi di guidare, puri e evidenti come se fossero scritti sulla targa. 
Poi ci sono i camionisti, anzi il camionista. Dico “il” camionista, perché in realtà si tratta di una sola persona con tanti corpi, cosa che si evince dal fatto che tutti i camion si comportano allo stesso modo in tutte le autostrade dell’universo: si buttano sulla tua corsia appena sei a tiro, sorpassano gli altri camion alla stessa velocità con cui crescono le unghie, viaggiano appiccicati uno all’altro come una specie di centipede umano, sfoggiano effigi di Padri Pii e donne nude (mai donne pie e padri nudi), si imbizzarriscono contro qualsiasi cosa non abbia le fattezze di un camion e, in generale, seguono un misterioso sistema di regole non scritte di cui solo loro sono a conoscenza, una specie di codice cavalleresco del camionista. Chi lo trasgredisce viene preso a clacsonate senza nessuna pietà. 
Un giorno, mentre osservavo un camion fermo davanti a me in una piazzola di sosta, mi sono chiesto: ma come sarà fatto un camionista, questa entità eterna e ubiqua? Avrà le sembianze previste dal suo stereotipo, cioè un energumeno grezzo e unto coi ciuffi di peli che gli escono dalle orecchie? O invece sarà completamente diverso, tipo un lombrico? Quali caratteristiche deve avere una creatura per poter sopportare una vita in autostrada, da solo, a quella velocità insostenibile? Per esempio, un autista di bus deve avere una grande capacità di concentrazione per ignorare tutti quelli che parlano col conducente, un tassista deve avere memoria, un pilota di Formula Uno deve riuscire a non addormentarsi, ma un camionista? Com’è fatto un camionista? 
Per togliermi la curiosità, mi sono avvicinato al camion e ho aperto la portiera. Non c’era nessuno.


Pubblicato da Smeriglia | 19.6.17






lunedì 19 giugno 2017

Il costo umano dei pesticidi





Reportage realizzato da Pablo Ernesto Piovano, un fotografo argentino che nel 2014 ha deciso di documentare la condizione della popolazione del suo paese che lavora o vive nei pressi dei campi coltivati a soia ogm dove si usano dosi massicce di diserbanti.
Il reportage si chiama El costo humano de los agrotóxicos, il costo umano dei pesticidi, ed è stato esposto all’edizione 2015 del Festival della fotografia etica di Lodi. Le foto di Piovano sono una denuncia senza appello alla Monsanto, la multinazionale che si è inventata l’accoppiata ogm-Roundup, ovvero la coltivazione di soia geneticamente modificata abbinata all’utilizzo del diserbante Roundup (al quale la soia è resistente) che contiene glifosato.

Il dramma argentino ha avuto inizio nel 1996 quando il governo ha deciso di approvare la coltivazione e la commercializzazione di soia transgenica e l’uso del glifosato senza condurre alcuna indagine interna, ma basando la sua decisione solo sulle ricerche pubblicate dalla Monsanto. Da allora, la terra coltivata a ogm è arrivata a coprire il 60 per cento del totale e solo nel 2012 sono stati spruzzati 370 milioni di litri di pesticidi su 21 milioni di ettari di terreno. In quelle stesse terre, i casi di cancro nei bambini sono triplicati in dieci anni, mentre i casi di malformazioni riscontrate nei neonati sono aumentate del 400 per cento. A dir poco incalcolabili i casi di malattie della pelle e i problemi respiratori riscontrati senza motivo apparente nei giovani come negli adulti.
Un’indagine recente, sempre secondo quanto riportato da Burn, ha calcolato che 13,4 milioni di argentini (un terzo della popolazione totale) ha subìto gli effetti negativi del glifosato. A fronte di tutto ciò, l’Argentina non ha preso alcuna decisione per bloccare questo dramma, né ha commissionato nuovi studi per capire cosa stia accadendo alla popolazione. Anzi, oggi in Argentina si trovano 22 dei 90 milioni di ettari coltivati a soia ogm nel mondo, secondo quanto riportato dal settimanale tedesco Die Zeit.
Il reportage, però, non è passato inosservato vincendo diversi premi. Ma l’omertà e la forza di una multinazionale del calibro della Monsanto sono nemici duri da sconfiggere, molto più potenti dell’evidenza e del dolore.









Pesticidi / Glifosato




Il glifosato è l’ingrediente attivo presente nell’erbicida Roundup prodotto dalla multinazionale Monsanto. Dal 2001 comunque, anno di scadenza del brevetto, è di libera produzione e di fatto, oggi, è l’erbicida più diffuso al mondo.
Oltre che in agricoltura, il glifosato e i formulati commerciali che lo contengono sono ampiamente diffusi in ambienti urbani e domestici. È utilizzato da Comuni e Province per la pulizia dei margini stradali, delle massicciate ferroviarie e del verde pubblico ed è presente anche in prodotti da giardinaggio e per l’hobbistica.
L’uso intensivo in agricoltura è strettamente connesso alla sementi geneticamente modificate (OGM) di soia, mais e colza, il cui DNA è stato alterato per renderli resistenti all’erbicida, che quindi può essere applicato in dosi sempre più massicce, inevitabilmente accumulandosi nel prodotto finale. Soia, mais e colza OGM sono ampiamente impiegati come mangimi per animali: è anche così che le sostanze come il glifosato entrano nella catena alimentare.

Tutti possono entrare in contatto con questa sostanza chimica, sia per esposizione diretta durante le applicazioni in agricoltura e nel giardino, che attraverso l’acqua, le bevande e gli alimenti di origine vegetale (pane, pasta, cereali, legumi, nei quali viene spesso usato come disseccante prima del raccolto), la carne e i suoi trasformati, in particolare laddove gli animali vengano nutriti con derivati da piante OGM.

Il glifosato ha una potente azione erbicida, del tutto non selettiva, per cui è tossico per ogni specie vegetale, riuscendo a devitalizzare praticamente ogni tipo di pianta. Il meccanismo di azione è l’inibizione (ovvero la disattivazione) di un enzima chiave della fotosintesi clorofilliana, il processo vitale di tutte le piante (come la respirazione per gli animali incluso l’uomo).
Il glifosato è tossico, ormai è una certezza scientifica, e non solo perché possibile (anzi, probabile) cancerogeno. La sua capillare diffusione ha ormai infestato interi ecosistemi, causando disequilibri ormai di difficile riparazione.
D’altronde è una molecola chimicamente molto potente ed è impensabile credere che non abbia degli effetti collaterali (termine che in realtà in questo caso appare come un eufemismo). Uccide tutto il regno vegetale, permane nei prodotti agricoli, e viene assorbito da chi li ingerisce.



 Un trattore sparge diserbanti su un campo agricolo in provincia di Verona 
© Massimo Colombo 






 

Pesticidi / Union Carbide




BHOPAL: IL PIÙ GRAVE DISASTRO INDUSTRIALE DELLA STORIA
PER CUI NESSUNO HA MAI PAGATO VERAMENTE


Dai 20.000 ai 25.000 morti.
Circa 4000 invalidi.
Almeno 500.000 intossicati.
Feti deformi, mortalità ancora oggi due volte e mezza superiore alla media nazionale, falde acquifere contaminate,
Non è il bollettino di una battaglia e nemmeno i dati raccolti dopo l’esplosione di un ordigno atomico. Sono i numeri, sempre parziali e mai capaci di restituirci la drammaticità degli eventi reali, legati al disastro di Bhopal.
Bhopal è una città indiana di quasi un milione e mezzo di abitanti, situata nel Madhya Pradesh.
Alla fine degli anni sessanta, la Union Carbide India Limited, azienda locale consociata della Union Carbide, una multinazionale statunitense specializzata nella produzione di fitofarmaci decide di costruire presso questa località una fabbrica per la produzione di isocianato di metile (MIC), composto intermedio necessario alla creazione del Sevin, noto insetticida.
L’azienda, entrata in funzione nel 1980, viene messa in dismissione appena tre anni dopo a causa della crisi che investe il settore. Dalla seconda metà dell'83’, nonostante nella fabbrica ci fossero ancora ben 60 tonnellate di MIC, i sistemi di sicurezza vengono pian piano abbandonati a se stessi, le manutenzioni non sono effettuate con regolarità, e i dipendenti addetti alla sicurezza vengono ridotti drasticamente.
Il 3 dicembre 1984, quando la fabbrica aveva ormai chiuso i battenti definitivamente, durante un controllo si verifica una fuoriuscita d’acqua che entra a contatto con l’isocianato di metile. Il contatto provoca la creazione di una nube altamente tossica che fuoriesce dalle valvole e si disperde nell’atmosfera.
La nube, più pesante dell’aria,si diffonde nella città provocando subito centinaia di morti. Gli effetti della contaminazione sono terribili: bruciori dolorosissimi, fuoriuscite di sangue dai polmoni, gravissime difficoltà respiratorie. Di fatto è una strage.
Strage che secondo le organizzazioni ambientaliste si sarebbe potuta evitare mettendo in sicurezza il sito. Strage per cui l’amministratore delegato dell’ Union Carbide, Warren Anderson, venne rinviato a giudizio da una corte indiana insieme ad altri otto dirigenti dell’azienda. L’ a.d., residente negli USA, non venne mai estradato e non scontò un solo giorno di carcere inflittogli dalla condanna per il reato di negligenza grave. Gli altri sono tutti liberi su cauzione.
Le multe inflitte ai dirigenti furono irrisorie, mentre la Unione Caribe pagò solo 470 milioni di euro come risarcimento per il disastro. Molti di questi soldi non arrivarono mai alle vittime e ai loro parenti. Ancora oggi il sito del disastro non è stato bonificato e le nuove generazioni pagano un prezzo altissimo in termini di salute e qualità della vita. 



 



domenica 18 giugno 2017

Nuvole




Siamo nuvole
i nomi complicano la tessitura
ma siamo nuvole,
notturne mattiniere
dipende,
oltraggiose spaurite
candide sprezzanti,
cavalieri e cavalcature
bastimenti e animali
siamo pronte
a dissolverci con fierezza
in quel tutto pacatissimo
del cielo ultimo
che ci affida il mondo.
Siamo nuvole
cambiamo vita di frequente
lì, sopra il disordine della realtà
il fondo
sereno delle cose,
la pioggia
la sete. 
 
Chandra Livia Candiani 



 






sabato 17 giugno 2017

Caccia illimitata alle volpi





Firme:












Io aspetto




Io aspetto
come il melo
aspetta i fiori –
suoi –
e non li sa
puntuali
ma li fa,
simili
non identici
all’ anno passato.
Li fa precisi
e baciati nel legno
da luce e acqua
da desiderio
senza chi.
Sorrido sotto il noce
ai suoi occhi tanti
che mi studino bene
la tessitura dei capelli
e ne facciano versi
di merlo e di vespa
di acuti
aghi di pino
e betulla appena sveglia.
Non so chi sono
ho perso senso
e bussola privata
ma obbedisco
a una legge
di fioritura
a un comando precipitoso
verso luce
spalancata.

Chandra Livia Candiani